Rugby, è stop: niente scudetto
Ieri la scelta della prima grande federazione italiana Il titolo 2020 non sarà assegnato Gavazzi: «Decisione sofferta, ma per noi proseguire è impossibile»
È la prima grande Federazione che si arrende per l’emergenza «Non si può andare avanti così» Malagò: «Tutto troppo in fretta»
Stavolta è più di un semplice asterisco sull'albo d'oro. Il nemico che tutti noi stiamo combattendo è riuscito laddove soltanto la Seconda Guerra Mondiale era arrivata, sebbene qui parliamo di una cancellazione a stagione in corso. La prima, in questi giorni, tra gli sport di squadra, che potrebbe fare da apripista. Alle 10 di ieri il comunicato ufficiale della Fir che riportava la decisione del Consiglio federale riunito giovedì in videoconferenza: vista l'emergenza Covid-19, viene disposta la "sospensione definitiva" della stagione 2019/2020 per tutto il movimento; il Top 12 non assegnerà lo scudetto e, a cascata nelle categorie inferiori, non saranno previste promozioni né retrocessioni. Fine. Chiuso. Causa guerra, nessuno si fregiò del titolo 1944 e '45: gli unici precedenti.
SITUAZIONE. Inevitabile, comprensibile. Tra l'ordinaria sosta dovuta agli impegni della Nazionale al Sei Nazioni (a sua volta sospeso) e il rinvio dovuto all'esplosione dell'emergenza nel nostro Paese, nel massimo campionato italiano non si gioca dal 15 febbraio scorso. Assai problematica anche la riprogrammazione degli incontri in tarda primavera o addirittura in estate per via della stessa specificità del rugby, disciplina (tra l'altro in larghissima parte semipro' e dilettantistica in Italia) che obbliga a un recupero di almeno 6 giorni tra una partita e l'altra. Difficilissimo, dunque, anche pensare a turni infrasettimanali come avviene nel calcio. Senza contare la preparazione fisica dei giocatori quantomeno di 3 settimane - 2, secondo i più ottimisti - per affrontare il comunque difficile ritorno in campo. A margine, una decina di giorni fa era scoppiato il caso Valorugby Emilia, in campo per gli allenamenti pur nel rispetto delle regole riguardanti le società sportive.
CONDIZIONI. «C'era una guerra ai tempi delle prime cancellazioni, c'è un altro tipo di guerra oggi taglia corto, al telefono, il presidente della Fir Alfredo Gavazzi - Non c'erano le condizioni per proseguire. Avremmo dovuto riprendere entro il 18 aprile, ma non penso che il movimento sarebbe stato pronto per allora». Qualche club (e anche Malagò) avrebbe voluto aspettare un po' prima della decisione finale. «Sì - risponde Gavazzi - ma non credo sarebbe cambiato nulla. Chi è al vertice del proprio campionato non vuole smettere (e tra queste, si apprende in una nota, non c'è per esempio il Verona primo nel Girone B di Serie A, la seconda categoria nazionale; ndr) e chi invece in posizione più difficile accetta subito».
A TAVOLINO. Il numero 1 del rugby italiano non vuole sentir parlare nemmeno di scudetti assegnati a tavolino, «giacché alla fine del torneo mancavano ancora 10 partite, più 2 semifinali e una finale. Al contempo, abbiamo vagliato tutte le opzioni possibili e immaginabili, ci siamo resi conto delle oggettive difficoltà e abbiamo preso questa difficile decisione».
Mercoledì prossimo è previsto un nuovo Consiglio federale in videoconferenza. Quasi certamente non si parlerà di qualificazioni alla Challenge Cup, l'Europa League ovale («Ci penseremo entro giugno»), mentre sul piatto restano molti altri temi. Come i rapporti con il title sponsor del campionato, Peroni, o con Facebook, per le dirette streaming del Top 12, e soprattutto il sostegno economico alle società. «Cercheremo di ripartire con le stesse situazioni economiche pre-emergenza e magari migliorarle. Io sono ottimista». Al momento, però, quelle serrande forzatamente e inevitabilmente abbassate non incoraggiano.