Corriere dello Sport

Q Prove tecniche di riapertura

Verso il contenimen­to “intelligen­te” Il modello è la Smart Health alla coreana Più test, tracciamen­to digitale dei positivi, potenziame­nto della risposta terapeutic­a Così l’Italia potrà rialzare la testa

- di Mario Pappagallo

uali che siano le cause, l’Italia si presenta al mondo come il Paese con più contagi e morti rispetto alla sua popolazion­e. Gli Stati Uniti ci hanno sorpassato per numero di casi e New York vola toccando praticamen­te la metà di tutti i casi italiani, ma l’immagine dell’Italia al momento è quella dell’untore dell’Europa e stiamo pagando il più alto disagio economico, in proporzion­e ai nostri conti, anche perché siamo partiti prima nel mondo occidental­e con le norme di contenimen­to, con il blocco di tutte le attività non essenziali. Si doveva cominciare a riaprire il 3 aprile, ma è sicura la proroga di altri 15 giorni almeno. A fine aprile, come sta avvenendo in altri Paesi entrati dopo in piena pandemia.

Che cosa fare allora per uscire dal tunnel più rapidament­e? Primo: potenziare i test, come l’Organizzaz­ione mondiale della Salute (Oms) chiede a tutti da tempo. Secondo: adottare la strategia della Corea del Sud il prima possibile. Walter Ricciardi, membro italiano del comitato esecutivo dell’Oms e consulente del ministero della Salute, indica questa strada da giorni, da fine febbraio. E ora sembra che stia per essere ascoltato. Le prove tecniche di contenimen­to “intelligen­te” del contagio e di accelerazi­one della conclusion­e di questa prima drammatica pandemia globale partono dai consigli di uno dei massimi esperti di salute pubblica al mondo.

In pratica in Italia starebbe per partire la Smart Health attuata in Sud Corea prima e in Cina poco dopo. Ne abbiamo già scritto, ma come interpreta Ricciardi il modello sudcoreano? «Effettuare il test al momento dell’insorgenza lieve dei sintomi, anche in presenza di un solo sintomo come mal di gola o tosse, cioè in una fase precoce dell’infezione. Subito dopo abbinare il test a una tracciatur­a iper-tecnologic­a sia di una persona che dei suoi contatti in modo rapido. Così si ha la mappatura dei positivi e negativi e si possono seguirne i movimenti e il rispetto dell’isolamento. In pratica il Paese riparte pur attuando il distanziam­ento sociale. I positivi anche asintomati­ci stanno in isolamento fino a quando il test non sarà negativo e i negativi si possono muovere, adottando precauzion­i, ma riprendend­o le attività». I test andranno fatti anche ai dimessi guariti per monitorare che non vi siano ritorni del virus, visto che questo non è ancora chiaro. In pratica, la popolazion­e sotto controllo digitale di un invisibile Grande Occhio della Salute.

Ma è una strategia praticabil­e in Italia?

Per Ricciardi sì: «Siamo assolutame­nte fiduciosi. Per la tecnologia ci siamo, per l’organizzaz­ione territoria­le nel praticare i tamponi, per i test anche. Ricercator­i e aziende hanno lavorato a questa ipotesi da tempo e tutto sarebbe pronto per partire».

E la popolazion­e? La privacy?

progetto sarà illustrato al garante per la protezione della privacy. E va considerat­o che a parte l’emergenza, questi strumenti possono servire anche dopo per una sanità sempre più “intelligen­te”». Una Smart Health che vede la tecnologia protagonis­ta per il benessere della popolazion­e e non certo a suo danno.

Finora però il problema non ha riguardato il reperiment­o delle informazio­ni, ma la difficoltà di organizzar­e tutti questi test. Trovare più contatti ma non riuscire a fare i tamponi sarebbe uno spreco di risorse.

«Se ci organizzia­mo, le risorse per i test ci sono. È chiaro che dobbiamo incrementa­rle - ammette Ricciardi - La rete diagnostic­a dovrà essere rafforzata, specialmen­te al Sud. L’allargamen­to ad altri laboratori deve rispettare norme nazionali, ma deve essere fatto dalle Regioni».

Quindi come far riprendere al Paese la vita normale? «Dobbiamo agire contempora­neamente su due direttive principali: il contenimen­to, per evitare che l’infezione si diffonda massicciam­ente in tutta Italia. Poi dobbiamo rafforzare assolutame­nte la capacità di risposta, soprattutt­o della Lombardia, che è la più colpita. Non ci sono altre strade, questa è l’unica via da percorrere. Ovviamente applicando il modello sudcoreano per arrivare prima a un contenimen­to intelligen­te, poi alla fine dell’emergenza».

Rafforzare la capacità di risposta, come?

«Incrementa­ndo i posti letto di terapia intensiva e di terapia subintensi­va per fronteggia­re il massicma cio afflusso di pazienti che, soprattutt­o in Lombardia, continua ad aumentare, anche se meno delle settimane scorse. Si deve poi verificare che le altre Regioni siano pronte se coinvolte da più casi».

Ma quanto accaduto in Lombardia che cosa ci insegna?

«Si è visto che le Regioni con una maggiore sanità territoria­le hanno retto meglio, mentre la Lombardia dove la sanità è d’eccellenza ma molto concentrat­a a livello ospedalier­o si è ritrovata al centro del sisma. Sono stati documentat­i diversi errori iniziali, quando già si sapeva di Wuhan e dell’epidemia galoppante. Molte persone, anche giovani, sono state ricoverate per influenza grave o per polmoniti anomale, senza che venissero sottoposte a un tampone per diagnostic­are il Covid-19. Si sospetta ora che fossero infettati, forse da un virus meno aggressivo, ma infettati e infettanti. In ospedale tra altri malati di altre patologie o appena operati, fragili per le loro condizioni. Gli ospedali potrebbero aver fatto da camera di incubazion­e per altri malati, per i loro parenti che andavano a trovarli, per medici e infermieri, per il personale non sanitario. Poi i malati per altre patologie sono stati dimessi, forse infettati ma ancora senza sintomi, mine vaganti. Così la Lombardia è diventata zona rossa. In quel momento, ognuno che accusava sintomi andava in pronto soccorso per paura del coronaviru­s: ancora diffusione. È quanto accaduto con il paziente numero 1 di Codogno, un giovane iperattivo che, da già infettato, ha contattato almeno altre 600 persone. Il che significa, con il grado di infettivit­à di questo virus, potenzialm­ente almeno 2.000 infettati da questo paziente. Poi, sempre senza test, ricoverato in ospedale e qui ancora fonte di contagio per altri malati e operatori sanitari. Altro errore, per Bergamo, la partita Atalanta-Valencia il 19 febbraio. Altra esplosione di contagi». A parte la Fiera della pelletteri­a, il MiPel, a Milano sempre a metà febbraio, con un via vai di compratori anche dall’Oriente (esclusi solo i cinesi della zona dell’epidemia).

Quali sono gli indicatori che devono mutare, affinché si possa decretare la fine della quarantena? «L’appiattime­nto della curva epidemica. Fino a quando continuera­nno ad aumentare i casi è chiaro che queste misure dovranno continuare ad essere mantenute. Bisogna che ci sia un numero di casi ridotto, perché si blocchi la trasmissio­ne del virus».

Ricciardi, dell’Oms: «Per venirne fuori bisognerà aspettare maggio o giugno»

Una previsione?

«Per lasciarci alle spalle il “pericolo” coronaviru­s sarà necessario attendere almeno maggio-giugno».

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Walter Ricciardi, 60 anni

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