Calciatori non svendete le vostre parole
Gentile Giorgio Chiellini, in un momento così difficile per il Paese i calciatori stanno dando un esempio che smentisce molti luoghi comuni. Il taglio degli stipendi, il fondo di solidarietà per gli atleti mal pagati e la richiesta di completare i campionati, anche a costo di rinunciare alle ferie, sono una prova di saggezza di cui c’era bisogno.
Gentile Giorgio Chiellini, in un momento così difficile per il Paese i calciatori stanno dando un esempio che smentisce molti luoghi comuni. Il taglio degli stipendi, il fondo di solidarietà per gli atleti mal pagati e la richiesta di completare i campionati, anche a costo di rinunciare alle ferie, sono una prova di saggezza di cui c’era bisogno. L’accordo da lei promosso e raggiunto con la Juve, in qualità di delegato dell’Assocalciatori, è anzitutto un successo personale, perché limita il danno al taglio di una mensilità e allo spostamento di altre tre alla stagione successiva. Ma è anche il compromesso lungimirante di chi ha compreso che dalle crisi si esce accettando di cambiare. E il calcio ha molto bisogno di farlo.
Del resto, dalle interviste che alcuni di voi concedono in questi giorni si coglie un’umanità ricca di valori e passioni, che scopre una faccia poco conosciuta del calcio italiano. Se, tra tanti dolori e disagi, un vantaggio questa crisi ha portato, è stato quello di togliere la mordacchia delle società alla voce degli atleti. Che, dalla clausura imposta dai divieti, si raccontano come padri, figli o partner premurosi, e soprattutto come cittadini consapevoli e rispettosi delle regole. Al netto di qualche bamboccione malcresciuto che, dalla sua bolla di esasperato egocentrismo, fa fatica a comprendere che cosa accada ai comuni mortali, la stragrande maggioranza dei calciatori italiani, famosi o sconosciuti, ricchi o moderatamente benestanti, ha trovato l’umiltà per accettare le rinunce imposte, allo stesso modo a tutti, dall’emergenza. E alcuni di loro hanno saputo portare la loro leadership sportiva nella vita, dando prova di generosità, di arguzia e di sensibilità.
Ora che una luce di speranza si accende dopo tre settimane di stop, illudendoci che in un tempo ragionevolmente breve torneremo a rivedervi sul campo, mi chiedo che ne sarà delle vostre voci di questi giorni. Tornerete a presentarvi al pubblico solo nelle conferenze stampa, controllati a vista da quei solerti funzionari dei club che pretendono di dettare le domande gradite e di interdire quelle scomode? Perché non conoscono la differenza che c’è tra un comunicatore e un servo sciocco? Oppure le vostre interviste torneranno a essere il prezzo che i presidenti pagano ai favori di un giornale compiacente?
Gentile Giorgio, amici calciatori, riprendetevi il vostro diritto di parola. Siete la voce più fresca e più vera di questo universo così complesso, e a tratti intrasparente, che è il calcio. La pratica sportiva totalizzante, che vi impegna dall’adolescenza, non vi fa meno pronti di altri al dialogo. Perché la scuola del campo e della fatica sportiva può essere maestra di vita quanto una robusta cultura di base. Del resto, chi impone il bavaglio alla vostra libertà ha collezionato più gaffe di quante sarebbero consentite a una classe dirigente mediocre. Dalle battute razziste agli insulti personali, allo snobbismo verso le squadre meno titolate, ai giochi occulti per piegare perfino l’emergenza del virus ai propri interessi di bottega, i presidenti del calcio che conta hanno dilapidato un patrimonio di credibilità. Se parlano e sparlano ancora, è perché la loro idea del pudore coincide con quella del portafogli.
Amici calciatori, vendete pure i gol, le prodezze, la prestanza fisica e l’ingegno in campo. Non la vostra libertà di pensiero. Di cui il calcio ha bisogno per cambiare. Si dice che dall’incubo di queste settimane usciremo migliori. Non è automatico che ciò accada. Dipende dalle scelte che faremo, che farete insieme. Nessuno di voi da solo può difendere in una trattativa individuale il diritto di parlare, che le società vogliono comprare per utilizzare come merce di scambio. Il sindacato, che Chiellini e Tommasi rappresentano, si opponga. Tuteli, insieme con la tasca, quel pensiero critico che fa, da solo, libero un atleta, un uomo. E che, nella pena del coronavirus, abbiamo tutti visto valere più di un ingaggio.