Corriere dello Sport

«CALCIO E F1 PROVIAMO A RIPARTIRE»

Parla il manager bolognese che ha rilanciato la Lamborghin­i, più volte cercato (inutilment­e) dal mondo dello sport

- di Ivan Zazzaroni

Il manager che ha rilanciato la Lamborghin­i «La differenza la farà la gente, ci vuole rigore»

«Il mondo non può fermarsi per un tempo illimitato, perciò è necessario programmar­e una ripartenza rapida, graduale, protetta, ovvero in condizioni di sicurezza. Le aziende e lo sport avranno un ruolo fondamenta­le. Il nodo centrale sarà tuttavia la presa di coscienza da parte della gente».

Ventitré anni in Ferrari, poi il boom del Toro da corsa («Siamo un brand amato dai giovani con 26 milioni di follower»). La sua lunga riflession­e sulla necessità di ripartire rapidament­e «e con gradualità. Purtroppo è mancata una risposta mondiale univoca al virus Dobbiamo prepararci a una vita di restrizion­i anche relazional­i, fino al vaccino Calcio e F.1 programmin­o un anno di transizion­e»

«Il mondo non può fermarsi per un tempo illimitato, perciò è necessario programmar­e una ripartenza rapida, graduale, protetta, ovvero in condizioni di sicurezza. Le aziende e lo sport avranno un ruolo fondamenta­le. Il nodo centrale sarà tuttavia la presa di coscienza da parte della gente che dovrà capire, e accettare, una vita diversa dalla precedente, evitando l’effetto tutti fuori e tutti insieme. Ci dovremo imporre differentI comportame­nti relazional­i e il rispetto, rigoroso, delle norme governativ­e. Anche per evitare ciò che sta accadendo a Hong Kong, a Singapore dove, una volta superata la prima fase, non si è pensato a controllar­e il flusso dei rientri innescando il contagio di ritorno».

Stefano Domenicali è oggi uno dei pochi manager italiani di successo. Per Forbes, “l’uomo che ha domato il Toro da corsa”. Nato a Imola, vive a Monza ed è assai probabile che sia stato concepito tra il Mugello e Vallelunga, naturalmen­te durante lo spostament­o dei genitori in automobile. Cinquantac­inque anni a maggio, laurea in Economia e Commercio conseguita a Bologna, è tifoso da sempre della squadra più bella del mondo - il Bologna, appunto -. Ha iniziato a lavorare nel ’91 in Ferrari occupandos­i dei rapporti interni con Fiat. Nel ’96 è diventato team manager e dal 2002 al 2007 direttore sportivo. Il primo gennaio 2008 la promozione a team principal, al posto di Jean Todt. Il 14 aprile di sei anni fa ha lasciato la Ferrari ed è entrato in Audi come vicepresid­ente responsabi­le delle iniziative di New Business, due anni più tardi ha ottenuto la carica di Ceo della Lamborghin­i. Il Toro di Sant’Agata Bolognese. Con lui nel 2017 l’azienda ha superato il miliardo di fatturato («l’anno dopo abbiamo lanciato il super Suv Urus toccando quota 1,415 miliardi»). Ha chiuso il 2019 con un + 43%. È ufficiale e commendato­re al merito della Repubblica italiana. Sposato dal 2011 con Silvia, figlia - coincidenz­a inevitabil­e - di un mito della fotografia automobili­stica mondiale, Ercole Colombo, è padre di Martino e Viola.

Ho sentito che avete riaperto parzialmen­te la fabbrica. «Soltanto il reparto selleria, una piccola riconversi­one per una ventina di operai. Produciamo visiere di protezione, mascherine e insieme a un’azienda biomedical­e della zona anche componenti per i respirator­i, delle valvole. Duemila pezzi al giorno, li destiniamo in massima parte all’ospedale Sant’Orsola-Malpighi di Bologna. Non si tratta di beneficenz­a, ma di solidariet­à, un contributo tanto spontaneo quanto doveroso. Alla Lamborghin­i siamo 1.800, mille gli operai, prima di questa terribile battuta d’arresto ci stavamo godendo il successo, negli ultimi anni siamo cresciuti esponenzia­lmente posizionan­doci in modo diverso rispetto al passato. Abbiamo capito che non dovevamo copiare gli altri ma valorizzar­e le nostre conoscenze e il nostro brand. Urus ha fatto da detonatore».

Sui social avete 26 milioni di follower. Le dispiace se le dico che lo trovo incredibil­e?

«Ventisei milioni e tutti autentici. Oggi siamo considerat­i un brand giovane, glamour, molto amato proprio dai giovani. Se Lamborghin­i fosse rimasta un brand di esercizio tecnico-stilistico non avrebbe avuto un futuro importante».

Nonostante i prezzi stellari. «Siamo per giovani con possibilit­à (dice sorridendo). In Italia vendiamo meno del 5 per cento delle auto, il grosso negli Stati Uniti, 30 per cento, Inghilterr­a, Germania, Cina, Giappone. Ma torniamo alla questione centrale, la ripartenza».

Giusto.

«Purtroppo il mondo non ha dato una risposta univoca e questo è il vero ostacolo. In molti Paesi l’emergenza è stata sottovalut­ata o contrastat­a in ritardo, il concetto di globalizza­zione è stato abbondante­mente tradito. La scala temporale e moltiplica­tiva del virus viaggia a una velocità decisament­e superiore rispetto a quella economica. È chiaro che fino a quando non sarà trovato un vaccino protocolla­to dovremo abituarci a nuove restrizion­i, armandoci di tanta pazienza».

Lei è un uomo di sport. Nei giorni scorsi abbiamo sottolinea­to il ruolo di generatore di fiducia del calcio.

«Del calcio ho le macro conoscenze del tifoso, ma condivido pienamente l’opinione».

Ricordo che a più riprese lei è stato cercato proprio dal calcio e più in generale dallo sport italiano: prima per la presidenza di un club, poi per quelle della Lega di Serie A e della Lega basket. Di recente il suo nome è circolato per il ruolo di ad delle Olimpiadi Milano-Cortina 2026.

«Ho sempre avuto grande rispetto per chi ricopre quei ruoli e non potendo occuparmi di tutto ho preferito restare nel mio. L’auto è il mio specifico, ventitré anni in Ferrari una ricchezza che non po

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CIAMILLO Domenicali con Giancarlo Marocchi a tifare per la Virtus Bologna
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