Perché il calcio è morale
Il virus fa male, molto male, da solo. Non c’è nessun bisogno che la demagogia gli sia d’aiuto, che lo sorregga anche quando, speriamo presto, riusciremo a batterlo. Non c’è bisogno che politici, ma perfino alcuni sportivi, quelli già appagati (nel senso economico del termine) o quelli con interessi particolari da difendere, rendano il futuro più cupo, più lontano e più incerto di quanto lo si possa immaginare. Da troppe parti, in questi giorni difficili, stiamo leggendo che è immorale parlare oggi di calcio. E’ immorale pensare oggi, con la gente che muore, a quando ripartirà il calcio di Ronaldo. Perché il problema, per chi è appassionato di demagogia e dello spicciolo favore popolare, è tutto lì. E’ Ronaldo, l’icona mondiale. Il problema è il suo stipendio, come quello di Messi, di Ibrahimovic, e di tutti i campioni del calcio. A noi sembra di sognare. Ma se oggi si decide che non si giocherà mai più a calcio, Ronaldo avrà forse dei problemi per il suo futuro? Se non gioca più, può campare tre o quattro generazioni ronaldesche facendole vivere da pascià. La domanda che bisogna porsi è molto diversa: se non si gioca più a calcio, che fine farà quel magazziniere che tutte le mattine, prima dell’allenamento, mette la maglietta di Ronaldo nel suo armadietto? Cosa accadrà ai giardinieri che curano l’erba del campo dove si allena Ronaldo? E come andranno avanti le centinaia e centinaia di ragazzi che guadagnano 1.000 euro al mese in Serie C? E cosa accadrà ai nostri figli se scompaiono le società giovanili?
E’ immorale parlare di quando si ricomincerà a giocare. Ma stiamo scherzando? E’ immorale parlare, magari solo sperare, di quando riapriranno i teatri, le discoteche, i ristoranti, i negozi, di quando ripartirà la vita? Nel novembre del 2003 eravamo a Varsavia con la Nazionale per un’amichevole con la Polonia quando ci fu l’attentato a Nassyria. Tutti a dire che l’Italia quella sera non doveva giocare. Bene, benissimo, ma allora quella sera dovevano chiudere tutti i teatri, tutti i cinema, tutte le discoteche, tutti i ristoranti e tutto il Paese doveva restare in casa a riflettere e a pregare. Così va bene, ma non solo e sempre il calcio, come se fosse la malattia del nostro tempo. La malattia si chiama coronavirus e la demagogia è la sua alleata. Riprendiamo a giocare quando non ci sarà il minimo rischio per nessuno, ma ricominciamo. A giugno? Va bene, saremo in piena estate, le partite si faranno in notturna, a porte chiuse, come sarà necessario, ma dobbiamo ripartire e finire questa stagione. Lo dobbiamo a tutti noi.