Corriere dello Sport

Perché il calcio è morale

- Di Alberto Polverosi

Il virus fa male, molto male, da solo. Non c’è nessun bisogno che la demagogia gli sia d’aiuto, che lo sorregga anche quando, speriamo presto, riusciremo a batterlo. Non c’è bisogno che politici, ma perfino alcuni sportivi, quelli già appagati (nel senso economico del termine) o quelli con interessi particolar­i da difendere, rendano il futuro più cupo, più lontano e più incerto di quanto lo si possa immaginare. Da troppe parti, in questi giorni difficili, stiamo leggendo che è immorale parlare oggi di calcio. E’ immorale pensare oggi, con la gente che muore, a quando ripartirà il calcio di Ronaldo. Perché il problema, per chi è appassiona­to di demagogia e dello spicciolo favore popolare, è tutto lì. E’ Ronaldo, l’icona mondiale. Il problema è il suo stipendio, come quello di Messi, di Ibrahimovi­c, e di tutti i campioni del calcio. A noi sembra di sognare. Ma se oggi si decide che non si giocherà mai più a calcio, Ronaldo avrà forse dei problemi per il suo futuro? Se non gioca più, può campare tre o quattro generazion­i ronaldesch­e facendole vivere da pascià. La domanda che bisogna porsi è molto diversa: se non si gioca più a calcio, che fine farà quel magazzinie­re che tutte le mattine, prima dell’allenament­o, mette la maglietta di Ronaldo nel suo armadietto? Cosa accadrà ai giardinier­i che curano l’erba del campo dove si allena Ronaldo? E come andranno avanti le centinaia e centinaia di ragazzi che guadagnano 1.000 euro al mese in Serie C? E cosa accadrà ai nostri figli se scompaiono le società giovanili?

E’ immorale parlare di quando si ricomincer­à a giocare. Ma stiamo scherzando? E’ immorale parlare, magari solo sperare, di quando riaprirann­o i teatri, le discoteche, i ristoranti, i negozi, di quando ripartirà la vita? Nel novembre del 2003 eravamo a Varsavia con la Nazionale per un’amichevole con la Polonia quando ci fu l’attentato a Nassyria. Tutti a dire che l’Italia quella sera non doveva giocare. Bene, benissimo, ma allora quella sera dovevano chiudere tutti i teatri, tutti i cinema, tutte le discoteche, tutti i ristoranti e tutto il Paese doveva restare in casa a riflettere e a pregare. Così va bene, ma non solo e sempre il calcio, come se fosse la malattia del nostro tempo. La malattia si chiama coronaviru­s e la demagogia è la sua alleata. Riprendiam­o a giocare quando non ci sarà il minimo rischio per nessuno, ma ricomincia­mo. A giugno? Va bene, saremo in piena estate, le partite si faranno in notturna, a porte chiuse, come sarà necessario, ma dobbiamo ripartire e finire questa stagione. Lo dobbiamo a tutti noi.

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