«Nessun tampone, sono stata male, ma ce l’ho fatta»
GEMMA FACCHINI, ABBONATA DAL 1988, RACCONTA LA LOTTA AL VIRUS E LA PASSIONE ROSSOBLÙ
«Bergamo è diventata una trincea. E noi siamo, nostro malgrado, combattenti in prima linea». Gemma Facchini Battaglia, tifosa del Bologna da più di 50 anni, usa il lessico della guerra perché quella contro il Coronavirus una guerra lo è diventata a tutti gli effetti. Soprattutto nella città, Seriate, dove si è trasferita a vivere dal 1973. «Sento tante persone dire che è addirittura peggio perché da combattere c’è un nemico che non riesci a vedere». E questo genera tanta ansia. Più di allora. «Quando c’era la guerra io ero una bambina molto piccola e vivevo senza sapere cosa stesse succedendo. Mia mamma mi raccontava che salivo sul cancello della casa dei nonni in campagna, dove abitavamo, per invitare ad entrare i soldati tedeschi. E mi sgridava». Ora invece la consapevolezza del momento è piena: «Ho saputo che alcune persone che conoscevamo di vista non ce l’hanno fatto». La voce si fa cupa. La tristezza si impadronisce delle corde vocale: «È dura. Ma bisogna provare tutti a prendere esempio da Mihajlovic, un grande combattente. Anche se non tutti siamo come Sinisa, dobbiamo avere la sua forza. A me manca andare allo stadio: quest’anno ci stavamo proprio divertendo. Stiamo riguardando i video della promozione in A. Ma mi manca soprattutto il non poter abbracciare mio nipotino Luca che sta a Como. Ci vedevamo ogni fine settimana il giorno prima delle partite casalinghe dei rossoblù perché io fino a che riuscirò a fare i gradoni non mancherò dal Dall’Ara». Dal 1988 è abbonata in Andrea Costa, prima andava in Curva San Luca.
Ma ora ci si è dovuti fermare. Bisogna restare in casa, è l’unica arma per bloccare questa pandemia. «Noi siamo rinchiusi dal 6 marzo». Esce solo la figlia Michela, anche lei abbonata e tifosissima rossoblù, che è in casa con mamma Gemma e papà Vinicio: «Va lei a fare la spesa. Meno male che c’è, altrimenti saremmo morti di fame e di sete. Poi va a comprare il Corriere dello Sport-Stadio in edicola, così ci distraiamo un po’. Ma prima di leggerlo lo teniamo fuori in terrazza per non rischiare che ci sia il virus». «L’edicolante - si inserisce Michela - dice che gli mancano le chiacchierate di calcio con la mamma. Lui tifa Atalanta, ma per il passaggio del turno in Champions non ha nemmeno esposto la bandiera perché non c’è lo spirito per festeggiare». «Mio figlio Mattia e sua moglie Silvia - riprende Gemma - sono farmacisti e sono orgogliosa di loro per il contributo che stanno dando». Qualche colpo di tosse interrompe le sue parole. Sono i postumi della sua lotta: «Non so se è il coronavirus, perché non ho fatto il tampone, ma ho avuto la febbre alta e la tosse. Dopo una settimana di antibiotici e tachipirina sto meglio, ma me la sono vista proprio brutta: ero più di là che di qua». Un nipote di sangue del marito è invece stato ricoverato in ospedale 12 giorni proprio a causa del Coronavirus: «Ora è uscito e sta finendo di curarsi a casa: è la dimostrazione che questo virus si può sconfiggere». Uno sprazzo di speranza. «Tutti insieme ce la faremo e torneremo a vedere il Bologna».