Agnello: Sono diventato dottore ma il mio futuro resta nel calcio
«Avrei preferito la discussione pubblica, ma va bene lo stesso»
Benvenuto nel club dei calciatori laureati. Francesco Agnello una volta sarebbe stato un privilegiato, adesso è in bella compagnia perché sono sempre di più i ragazzi che conciliano la carriera sul campo con le aspirazioni sui libri.
Il ventisettenne centrocampista del Rimini si è laureato col massimo dei voti in Scienze Motorie all'università telematica San Raffaele, convenzionata con l’Associazione calciatori, presentando la tesi sui traumatismi più frequenti nel gioco del calcio. Arrivato a gennaio in Romagna, è diventato subito inamovibile prima che l’infortunio al ginocchio destro lo mettesse fuori uso dopo due presenze. La chiamano tutti dottore? «Non mi ci chiama nessuno e non mi piace. Sono un ragazzo normale che si è specializzato in un settore».
Com'è stato concludere il percorso di questi tempi?
«Non è stato facile rinunciare alla discussione e alla proclamazione. E' mancata la soddisfazione piena. Mi sarebbe piaciuto essere circondato da parenti e amici».
Si riesce a studiare e allenarsi al meglio?
«Si può fare bene se uno ci mette sacrificio, passione e dedizione. I calciatori hanno il tempo libero, specie quando c'è una sola seduta di allenamento. Ce la fa chi lavora e ha famiglia, si deve volere. Consiglio ai giovani di affrontare questa esperienza, specie adesso che il calcio sta ricevendo un duro colpo dal coronavirus. La Lega Pro non naviga nell'oro e non tutti arrivano in Serie A, dunque l'alternativa è importante».
In famiglia tengono più alla laurea o alla carriera in campo? «Mamma Enza è orgogliosa per la laurea, del calcio si è sempre interessata poco. Papà Vito e mio fratello Giovanni tengono a entrambe le cose».
La scelta di continuare a studiare dove nasce?
«Da un cruccio. Avevo interrotto le scuole superiori quando sedicenne dalla Sicilia sono andato a Udine. Ho trovato delle difficoltà, poi ho ripreso e mi sono diplomato. La scuola mi è sempre piaciuta, è emersa la volontà. Questione d'orgoglio».
Aver completato l'università le restituisce qualcosa che il calcio per ora non può darle? «Non posso collegare questa soddisfazione al calcio che mi ha tolto tanto soprattutto per gli infortuni. Potevo ambire a qualcosa di più. Magari spero di togliermi in futuro le gioie che il calcio fin qui mi ha dato meno».
Amici calciatori laureati ne ha? «Con me a Rimini ci sono Mendicino e Picascia, altri ne conosco. E' una rivincita della categoria. I calciatori non hanno un gran nome in questo senso, dunque chi studia porta anche buona immagine».
Metterà a frutto la laurea? «Mi piacerebbe fare il preparatore atletico o il professore di educazione fisica. Non escludo l'allenatore».
Come si uscirà dall'emergenza coronavirus?
«Saremo diversi, apprezzeremo di più la vita e la libertà. Tante volte ci lamentiamo per nulla quando purtroppo c'è gente che muore e sta male».
Ritiene che si riuscirà a concludere la stagione?
«Ora dobbiamo superare la crisi. Per gli aspetti economici sarebbe un bene completare, giocando anche a luglio e agosto».
Cosa pensa delle proposte del suo presidente Grassi sulla riforma del calcio e la cassa integrazione per i calciatori?
«I presidenti fronteggiano una situazione economica che condiziona tutti i settori. Ciascuno di noi è chiamato a concorrere, ma non siamo nelle categorie superiori. Per le riforme, se in questi anni ci sono stati dei fallimenti vuol dire che qualcosa non va. Ora però le regole sono più ferree e i fallimenti sono diminuiti. Più c'è solidità nei club e più se ne giova l'intero sistema».
«Studio e pallone? Sì, se c’è l’impegno Torneremo in campo dopo questa crisi»