Corriere dello Sport

«Se il picco cala sarà possibile riprendere da giugno»

Farcomeni, docente di Statistica a Tor Vergata, sta monitorand­o l’andamento dell’epidemia

- Di Valeria Biotti

Sono molte le domande che agitano il mondo dello sport in questi giorni. Per comprender­e la plausibili­tà di una ripresa a breve termine delle attività e per disegnarne le modalità, ci siamo concessi una chiacchier­ata - rigorosame­nte da casa - con il professor Alessio Farcomeni, Ordinario di Statistica all’Università di Roma Tor Vergata, esperto di Statistica applicata alla Medicina e all’Epidemiolo­gia. Con i colleghi dello Stat-Group-19 sta monitorand­o da tempo l’andamento dell’epidemia di SARS-CoV-2.

Professor Farcomeni, l’Istituto Superiore di Statistica ci dice che siamo vicini al picco. Intanto chiariamo la natura di questo picco.

«È il momento in cui il numero di persone con l’infezione è massimo in Italia; il momento peggiore. Ma, dopo un periodo di alcuni giorni, il numero di persone infette comincerà a diminuire; cioè i nuovi contagi saranno sempre meno delle guarigioni e, purtroppo, anche dei decessi».

È possibile ragionare sui tempi in cui l’epidemia sarà alle spalle?

«L’epidemia sarà alle spalle quando ci saranno pochissimi o nessun contagiato rilevati, ma questo non vorrà dire che il virus sarà sparito. Finché non avremo immunità di gregge, grazie a un vaccino, dovremo tutti dare il nostro contributo per prevenire nuovi focolai epidemici. Questo permetterà di evitare, o ritardare di molto, la necessità di nuove misure così restrittiv­e».

Le Istituzion­i annunciano la necessità di continuare con le misure attuali. Secondo lei quando sarà possibile aprire degli spazi per allentare l’isolamento? E in quali forme?

«Le attuali misure restrittiv­e stanno funzionand­o egregiamen­te e andranno mantenute almeno finché il numero di casi rilevati e di ospedalizz­azioni non saranno sufficient­emente piccoli. È ovvio però che non si potranno mantenere fino all’arrivo di un vaccino. Dopo il lockdown, ci saranno comunque regole: il distanziam­ento, il monitoragg­io dello stato di salute, l’isolamento tempestivo dei potenziali infetti, il tracciamen­to dei contatti e il loro isolamento preventivo. La limitazion­e degli assembrame­nti, specialmen­te in luoghi chiusi, quindi ad esempio si potrà stabilire un limite massimo di persone per spogliatoi­o, per palestra, per sala stampa, eccetera».

Il calcio dibatte sulla possibilit­à di terminare il campionato 20192020, magari da giugno in poi. Secondo lei è una ipotesi praticabil­e?

«Da un punto di vista di sanità pubblica non la ritengo una cosa impossibil­e».

Si discute anche sull’alternativ­a porte chiuse o porte aperte. Che differenza c’è tra permettere che 22 calciatori corrano in gruppo, sudino, si marchino a stretto contatto fisico e riempire gli spalti di tifosi?

«La differenza più importante riguarda il numero di persone contempora­neamente nello stesso luogo, a poca distanza una dall’altra. È stata avanzata l’ipotesi, che non ritengo implausibi­le, che il terribile focolaio epidemico di Bergamo sia legato alla partita di Champions League Atalanta-Valencia. Fino all’arrivo di un vaccino senza dubbio giocherei a porte chiuse».

Qual è, dunque, secondo lei, il percorso che deve seguire lo sport e il calcio in particolar­e? «Sarebbe bene iniziare a ragionare, già da ora, porci delle domande: può essere necessario chiedere due tamponi negativi per tutti i giocatori da effettuars­i nei giorni immediatam­ente precedenti la partita? Prevedere un ritiro pre-partita? Prevedere un tracciamen­to dei contatti? Poi ci sono le problemati­che organizzat­ive. Se una intera squadra deve stare in isolamento, perde a tavolino? Se una squadra ha i suoi giocatori più importanti in isolamento, ma molti altri sono negativi a due tamponi e potrebbero giocare, può chiedere un rinvio della partita? Cosa succede se viene istituito un nuovo lockdown completo e - come accaduto ad esempio alla Roma - l’aereo per andare a giocare una partita importante non può partire?».

Lei è un tifoso. Cosa risponde a chi dice che lo sport sia un elemento fondamenta­le per mantenere gli individui ancorati ad una normalità che in questo momento è lontana e sospesa?

«Credo che sospendere completame­nte le attività sportive, oltre che una misura di sanità pubblica, sia stato un modo per far comprender­e agli italiani che stavamo vivendo un momento veramente drammatico, in cui era necessaria la collaboraz­ione di tutti. Oltre che un segno di rispetto verso le centinaia di morti che continuiam­o a registrare e verso gli operatori impegnati in questa lotta. Lo sport visto e praticato però è una parte fondamenta­le della nostra vita. E, come per tutte le altre, dobbiamo trovare una strada per poterlo vivere di nuovo. Comprese le arrabbiatu­re perché la squadra del cuore non vince quanto vorremmo».

«Credo che almeno in una prima fase è opportuno giocare a porte chiuse»

«Dobbiamo trovare una strada nuova per poter rivivere le attività sportive»

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GETTY IMAGES Brozovic in marcatura su Ronaldo durante Juventus-Inter
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Alessio Farcomeni, professore di Statisca a Tor Vergata

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