CALLEJON AL NAPOLI MANCA GIÀ
Si avvicina l’ora dell’addio dell’uomo ovunque, capace di adattarsi a ogni allenatore
Mica s’è capito ancora cosa si nasconda in quell’uomo così «trasversale»: perché le ha fatte tutte (ma sul serio) e ha giocato da ala (oggi si chiamano esterni alti), da fluidificante (li definiscono esterni bassi), s’è inventato centravanti nell’emergenza e poi seconda punta e anche centrocampista. E mai un passo indietro, anzi, perché c’è stato un tempo, ormai sono sette anni, che gli è appartenuto per davvero: è stato l’incursore di Benitez, il suo pigmalione, ma anche poi di Sarri; ed è divenuto l’equilibratore di Ancelotti, e a seguire di Gattuso, quando lo scatto si è lievemente appannato ma la testa mai. Però adesso che stanno cominciando a scivolare i titoli di coda, perché umanamente certi cicli finiscono, il Napoli sente già la mancanza di José Maria Callejon e vorrebbe che magicamente ne comparisse qualcuno che potesse in qualche modo replicarlo: impossibile, come si sa.
LA PROMESSA. José Maria Callejon ha compiuto trentatré anni, ha cominciato in questa quarantena anche a rinnovare il suo look, lasciandosi crescere i baffi, e comunque sa che il suo futuro - e ce ne sarà uno, quando il virus ci lascerà in pace - gli appartiene da due passi da casa e comunque in Patria: l’ha chiamato, o in qualche modo ha fatto sapere che vorrebbero parlarne, il Valencia, che ha una sua Storia e anche prospettive; e messaggi laterali sono partiti pure da Siviglia. Il suo contratto scadrà quando questa stagione si sarà esaurita, resta ancora una apertura per il Napoli, perché De Laurentiis gli è legato, ma ci sono gli affetti che chiamano e anche una concreta possibilità di consumare gli ultimi scatti a due passi dai genitori. Callejon è quello che arrivò tra la diffidenza, perché «riserva» nel Real Madrid, e quando Benitez lo presentò intuì subito che in quella frase c’era un assist e un’investitura. «Non lo conoscete ma vedrete, farà venti gol». Le promesse, anche quelle del proprio mentore, non si disattendono e Callejon ci riuscì subito.
L’ELOGIO DI ALLEGRI. Ne ha segnati ottanta di gol, ne ha fatti settantasei di assist, e ci ha sempre messo qualcosa di suo, come se fosse un marchio di fabbrica, quella diabolica giocata che Allegri un giorno elogiò trascinando il calcio in una dimensione gioiosa (ma non per la Juventus, in quattro circostanze) della infanzia. «L’ho detto ai ragazzi, Callejon può farci male, perché lui si mimetizza come se stesse giocando a nascondino». E infatti, gli veniva bene, seguendo uno schema ipotizzabile per abbondanza di classe: Insigne da sinistra che si accentra, lancio per cambiare da una fascia all’altra e arrivare a quel «diavoletto» appostato alle spalle dell’ultimo avversario. Avrebbe saputo poi lui cosa inventarsi, se chiuderla in prima persona o delegare all’amico che l’accompagnava in mezzo.
UNIVERSALE. Callejon ha riempito il suo settennato di intrusioni inaspettate, ha trasformato il suo normalissimo acquisto in un affare vero - otto milioni e ottocentomila euro per strapparlo al Real - s’è vestito da attaccante (per cinque anni è andato in doppia cifra) ed è sistematicamente rappresentato la figura dell’altruista: il filantropo della fascia destra, capace di servire chiunque stesse al centro dell’area. Gli è andato bene qualsiasi schema, e ne ha cambiati, praticamente attraversando il calcio di Benitez, di Sarri, di Ancelotti e di Gattuso senza mai uscirne, anzi: trecentotrentasei presenze sin qui, andando per tre volte oltre la soglia delle cinquanta, mai sotto quella delle quarantasette. Un uomo ovunque.
Sette anni intensi hanno trasformato un normale acquisto in un vero affare