Il contagio frena e al Nord riparte subito il lavoro
Solo 880 nuovi casi, è l’aumento più basso dal 10 marzo ma ci sono ancora 604 deceduti. Alcune aziende hanno già riaperto
Basta inviare alla Prefettura la dichiarazione via mail in cui si dice che si riapre perché si ha un’attività funzionale ai servizi essenziali Utilizzata finora nelle zone più colpite dal virus
Fino al 13 aprile tutto fermo. Almeno così doveva essere, come stabilito dal decreto (in vigore) del presidente del Consiglio. Lockdown lo chiamano, un concetto con il quale abbiamo imparato a convivere. Isolamento, nessuno fa nulla a meno che non sia essenziale. Bene. E invece no. Ieri c’è stata una riunione governo-comitato scientifico per definire gli step per la riapertura, intanto finora ci sono stati due pesi e due misure. E’ già stato detto che le norme restrittive potrebbero essere prorogate fino al primo maggio per rallentare la circolazione del virus, ma il lockdown non è stato rispettato. Infatti molte aziende e fabbriche da lunedì sono ripartite: così a meno di una settimana dal “riaprite i cancelli” ufficiale, parziale o contingentato o per settori, c’è chi ha riacceso prima il motore. Al lavoro, come se nulla fosse, come se 17 mila e passa morti fossero un ricordo lontano. E, tra l’altro, proprio in quelle zone, le più colpite dal terribile virus, quelle aree produttive, dove più si concentrano attività produttive, dove però si continuano a contare ogni giorno nuovi positivi e decessi.
Perché è successo? Ci troviamo di fronte a un Paese che in deroga sta lavorando: non soltanto perché alcuni grandi stabilimenti hanno riavviato le produzioni, ma anche perché ci sono piccole e medie aziende che di fatto non hanno mai sospeso l’attività, si sono fermate solo per pochissimi giorni. Molte di fatto - e c’è chi parla del 60/70% delle attività produttive - nelle zone in cui l’epidemia di Coronavirus ha mietuto il maggior numero di morti e dove non cessa l’emergenza.
Tutto in deroga al dpcm in vigore perché “attività funzionali” alle essenziali. Basta una autocertificazione da inviare alle prefetture che sono state inondate di mail di imprenditori che dichiarano di restare aperti o di aver riaperto in deroga al decreto perché parte della filiera delle attività essenziali. Dunque per lavorare è sufficiente avere un comparto o un settore che di fatto fa servizi essenziali. Le prefetture dal canto loro possono far poco, incrociare i dati, verificare che non ci siano autodichiarazioni false o mendaci e se si riferiscano realmente a settori essenziali della produzione anche perché nel testo del decreto non viene precisata alcuna differenza tra attività prevalenti e secondarie, quindi magari la tal azienda ha ripreso a pieno ritmo anche se solo una piccola parte di quel che produce è essenziale.
Questo ha portato lamentele. La Regione Lombardia guarda i dati della mobilità e dice che c’è troppa gente in giro, i sindacati puntano il dito sulle norme di sicurezza, di distanziamento e di utilizzo di mascherine e camici e tutto quanto può proteggere i lavoratori: «Dal governo e dalla regione fanno continui appelli al rigore - dice il segretario della Cgil di Brescia Francesco Bertoli - ma la verità è che scaricano su prefetture e lavoragtori il peso delle deroghe che non fanno altro che aumentare il numero di persone che circolano». A oggi quasi cinquemila domande nella provincia di Brescia, duemila in quella di Bergamo, quindicimila in Veneto, di cui quattromila nel padovano che fanno ogni giorno un flusso di centinaia di domande analizzate da una minima task force. Giovedì scorso, tra l’altro, è stato siglato l’accordo tra Confindustria e il Commissario straordinario Domenico Arcuri per rispondere all’emergenza Covid-19 sostenendo la continuità produttiva delle imprese e garantendo la tutela della salute dei lavoratori. L’intesa - fortemente voluta da Piccola Industria Confindustria nell’ambito dell’attività del Programma Gestione Emergenze da questa guidato - è rivolta a facilitare gli approvvigionamenti di mascherine per il sistema industriale e, tramite le donazioni previste da parte delle imprese, per il sistema sanitario nazionale.
Tutto in attesa della fase 2, con l’autorizzazione dei prefetti e nell’ambito delle produzioni essenziali non mancano nel resto d’Italia altre riaperture di cancelli delle fabbriche. Dalle acciaierie Ast di Terni, ad ArcelorMittal a Genova, allo stabilimento Michelin
di Cuneo. E ancora tra la preoccupazione dei sindacati e grida d’allarme dal mondo delle imprese sui rischi di un protrarsi troppo a lungo dello stop. E’ “molto pericolosa” la riaperture dell’Ast: «Centinaia di persone che si muovono in un unico sito produttivo rappresentano un rischio notevole per i lavoratori e le loro famiglie, per Terni e per tutta l’Umbria», sostengono le segreterie regionali e provinciali di Cgil, Cisl e Uil. A Terni è iniziata la riattivazione degli impianti dell’Ast: entro oggi tutti i reparti torneranno nelle condizioni di produzione standard anche se programmati all’incirca per il 50% della capacità, «così da alimentare, anche indirettamente - ha spiegato l’azienda - le filiere dei prodotti essenziali e rispondere alle richieste provenienti da clienti di settori strategici globali, testimoniate da lettere provenienti da tutto il mondo». A Cuneo è ripresa dopo tre settimane di stop la produzione di pneumatici dello stabilimento Michelin di Cuneo, uno dei principali in Europa della multinazionale francese. A Genova è ripresa la produ
In Veneto 15 mila domande, a Brescia sono quasi 5 mila e 2 mila a Bergamo
A inizio aprile l’accordo tra Arcuri e Confindustria per la continuità
zione dello stabilimento Arcelor Mittal di Cornigliano: era fermo dal 23 marzo.
Da lunedì scorso in alcune aziende, come rende noto Confindustria Veneto, è iniziato un riavvio graduale di alcuni cicli produttivi. Si tratta di aziende, viene precisato, riconosciute come essenziali o di quelle che hanno ricevuto regolare autorizzazione da parte della Prefettura perché “funzionali” alle filiere necessarie. Tutte si sono attrezzate per applicare e rispettare le misure di sicurezza definite nel “Protocollo condiviso” del 14 marzo con le stesse organizzazioni sindacali e spesso rafforzate anche da ulteriori accordi aziendali.
Aziende e fabbriche funzionali alle attività essenziali al lavoro in deroga, migliaia di persone in giro. Ma il lockdown, quindi, a chi è rivolto?