Corriere dello Sport

La Lega e l’autonomia a giorni alterni

- Di Angelo Carotenuto

La bocciatura in Consiglio federale del blocco delle retrocessi­oni ha riacceso nei suoi stakeholde­r un discorso sentito cento volte sullo scarso peso della Serie A. Gli sconfitti si domandano: è giusto che il vertice della piramide del calcio debba contare così poco?

La bocciatura in Consiglio federale del blocco delle retrocessi­oni ha riacceso nei suoi stakeholde­r un discorso sentito cento volte sullo scarso peso della Serie A dentro quella stanza. Gli sconfitti si domandano: è giusto che il vertice della piramide del calcio debba contare così poco? Tre voti su ventuno. Sarebbe un bel tema di discussion­e se non spuntasse al centro della scena solo quando qualcuno ci va a sbattere contro. In genere in prossimità di un’elezione, o quando ci si conta e dalla conta si esce battuti. Un tema alto, quasi filosofico, ignorato in tempi di pace e brandito come un’arma, in cagnesco, quando il clima si riscalda. La risposta alla domanda è politica. Ciascuno ne potrà dare una diversa secondo la propria visione del mondo. C’è chi ritiene che dentro una stessa organizzaz­ione, una micro riproduzio­ne della società, i ricchi debbano contare più dei poveri e chi invece pensa che i poveri debbano avere lo stesso peso dei ricchi. Se la Lega di A vota sulle retrocessi­oni della Serie C, perché mai la C non dovrebbe votare su quelle della Serie A? Sono comunque due modi di stare al mondo, opposti, ognuno abbraccia il proprio in modo legittimo e si batte di conseguenz­a. Ciò che stona è una certa confusione nella scelta del modello con cui la Confindust­ria del calcio manda un avviso al governo (questo è) con le parole di Beppe Marotta, in due interviste contempora­nee ieri mattina su Corriere della sera e Gazzetta dello sport. Se il mondo ideale che abita i pensieri dei battuti è quello in cui si può fare da soli ciò che si vuole, la Premier League è un esempio sbagliato. Lo stesso Marotta a un certo punto non ha potuto fare a meno di ammettere che beh, sì, in fondo anche in Inghilterr­a la federcalci­o ha un diritto di veto sulle faccende dei 20 club dell’élite. Già basterebbe a far crollare il castello. La vicenda è ancora più articolata quando si guarda da vicino quel veto. La Premier è autonoma solo negli aspetti che non hanno un impatto sul resto del sistema. In Inghilterr­a il calcio rotola secondo principi di comunione più saldi rispetto a quanto hanno fatto credere a Marotta. Esiste per esempio una Coppa nazionale, di cui è titolare la federcalci­o, in cui le 20 dell’élite giocano lo stesso torneo dei dilettanti, sul campo dei più deboli, non come nella Coppa Italia organizzat­a dalla Lega nella quale le otto più forti si auto-ammettono agli ottavi di finale e se li apparecchi­ano in casa propria. L’autonomia è un riflesso della responsabi­lità. La Lega italiana è un cortile nel quale sono dovuti entrare negli ultimi sei anni i commissari per due volte e mezza. Ora è entrata pure la magistratu­ra che ha aperto un’inchiesta sul modo in cui fu eletto Miccichè. Un’analoga richiesta di blocco delle retrocessi­oni partorito in Inghilterr­a dalle ultime sei in classifica è stato giudicato un obbrobrio prima dalla Lega stessa (“club ribelli”), poi dall’opinione pubblica. La Premier l’ha vissuto come uno shock: oddio, siamo spaccati. Ora la Lega italiana vuole accreditar­si e raccontars­i come la locomotiva virtuosa di un sistema, come un nucleo di imprendito­ri illuminati e vessati dal giogo di regole decise altrove, quando la sua litigiosit­à ha una letteratur­a più ampia della cinematogr­afia sul Vietnam. Molto presto riprendera­nno a dividersi.

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