La Lega e l’autonomia a giorni alterni
La bocciatura in Consiglio federale del blocco delle retrocessioni ha riacceso nei suoi stakeholder un discorso sentito cento volte sullo scarso peso della Serie A. Gli sconfitti si domandano: è giusto che il vertice della piramide del calcio debba contare così poco?
La bocciatura in Consiglio federale del blocco delle retrocessioni ha riacceso nei suoi stakeholder un discorso sentito cento volte sullo scarso peso della Serie A dentro quella stanza. Gli sconfitti si domandano: è giusto che il vertice della piramide del calcio debba contare così poco? Tre voti su ventuno. Sarebbe un bel tema di discussione se non spuntasse al centro della scena solo quando qualcuno ci va a sbattere contro. In genere in prossimità di un’elezione, o quando ci si conta e dalla conta si esce battuti. Un tema alto, quasi filosofico, ignorato in tempi di pace e brandito come un’arma, in cagnesco, quando il clima si riscalda. La risposta alla domanda è politica. Ciascuno ne potrà dare una diversa secondo la propria visione del mondo. C’è chi ritiene che dentro una stessa organizzazione, una micro riproduzione della società, i ricchi debbano contare più dei poveri e chi invece pensa che i poveri debbano avere lo stesso peso dei ricchi. Se la Lega di A vota sulle retrocessioni della Serie C, perché mai la C non dovrebbe votare su quelle della Serie A? Sono comunque due modi di stare al mondo, opposti, ognuno abbraccia il proprio in modo legittimo e si batte di conseguenza. Ciò che stona è una certa confusione nella scelta del modello con cui la Confindustria del calcio manda un avviso al governo (questo è) con le parole di Beppe Marotta, in due interviste contemporanee ieri mattina su Corriere della sera e Gazzetta dello sport. Se il mondo ideale che abita i pensieri dei battuti è quello in cui si può fare da soli ciò che si vuole, la Premier League è un esempio sbagliato. Lo stesso Marotta a un certo punto non ha potuto fare a meno di ammettere che beh, sì, in fondo anche in Inghilterra la federcalcio ha un diritto di veto sulle faccende dei 20 club dell’élite. Già basterebbe a far crollare il castello. La vicenda è ancora più articolata quando si guarda da vicino quel veto. La Premier è autonoma solo negli aspetti che non hanno un impatto sul resto del sistema. In Inghilterra il calcio rotola secondo principi di comunione più saldi rispetto a quanto hanno fatto credere a Marotta. Esiste per esempio una Coppa nazionale, di cui è titolare la federcalcio, in cui le 20 dell’élite giocano lo stesso torneo dei dilettanti, sul campo dei più deboli, non come nella Coppa Italia organizzata dalla Lega nella quale le otto più forti si auto-ammettono agli ottavi di finale e se li apparecchiano in casa propria. L’autonomia è un riflesso della responsabilità. La Lega italiana è un cortile nel quale sono dovuti entrare negli ultimi sei anni i commissari per due volte e mezza. Ora è entrata pure la magistratura che ha aperto un’inchiesta sul modo in cui fu eletto Miccichè. Un’analoga richiesta di blocco delle retrocessioni partorito in Inghilterra dalle ultime sei in classifica è stato giudicato un obbrobrio prima dalla Lega stessa (“club ribelli”), poi dall’opinione pubblica. La Premier l’ha vissuto come uno shock: oddio, siamo spaccati. Ora la Lega italiana vuole accreditarsi e raccontarsi come la locomotiva virtuosa di un sistema, come un nucleo di imprenditori illuminati e vessati dal giogo di regole decise altrove, quando la sua litigiosità ha una letteratura più ampia della cinematografia sul Vietnam. Molto presto riprenderanno a dividersi.