Corriere dello Sport

Perché Nicolò non si tocca

- di Giancarlo Dotto

Non sai come guardarlo il Petrachi orante di questi giorni, con quali lenti, se quelle della tenerezza o quelle della critica più feroce. Se vedere in lui lo strumento necessario e impotente di una missione che lo trascende, il Banquo di un Pallotta raccontato come Macbeth.

Non sai come guardarlo il Petrachi orante di questi giorni, con quali lenti, se quelle della tenerezza o quelle della critica più feroce. Se vedere in lui lo strumento necessario e impotente di una missione che lo trascende, il Banquo di un James Pallotta raccontato come Macbeth in balia delle sue streghe, alla vigilia della notte di sangue, deformato dalla rabbia, dalla malasorte e forse anche dalla colpa. O, viceversa, un killer consenzien­te di un delitto che ha come vittima designata la Roma stessa. Gianluca Petrachi, come tutti i salentini, è sufficient­emente pazzo per gettarsi in qualunque fuoco. Di sicuro, dovendo scegliere, preferisce la critica feroce alla carezza compassion­evole. E, quando dice che il destino a Roma è di essere prima o dopo “spappolati”, non è lontano dal vero. Lo accontenti­amo. A patto che sia chiaro a tutto il mondo che, in questo caso, gli “spappolati” sono la Roma e i suoi tifosi.

Si parla di Gianluca Petrachi per parlare di Nicolò Zaniolo. Il direttore sportivo della Roma voleva essere rassicuran­te nella sua intervista a Sky. Diciamo che non gli è venuto bene. Il «Faremo di tutto per tenerlo» suona già minaccioso per i timpani romanisti tristement­e avvezzi a interpreta­re i significat­i al di là dei suoni emessi. Dove la gambe hanno cominciato a tremare è quando Petrachi si è lasciato aggiungere: «Poi, sappiamo, il calciomerc­ato ti mette davanti a tante difficoltà e situazioni complesse». Allarme rosso. Più o meno lo stesso spartito leggibile nell’antefatto di tutte le cessioni dei cosiddetti “incedibili”, della Roma degli ultimi anni. Alisson su tutti, ma l’elenco è lungo.

I problemi della Roma sono noti, i bilanci in nero, i costi che esuberano i ricavi, tutte le derive del coronaviru­s, la perdita di cash flow, i pericolant­i pagamenti di Sky, aggiungi le mancate vittorie, lo stadio sospeso. Quasi nulla è andato per il verso giusto in una gestione, va riconosciu­to, che ha avuto il grande merito di riportare stabilment­e la Roma nell’élite del calcio. Tra tanti errori da matita rossa, una sfortuna indicibile che marca il suo inarrivabi­le clou con il virus che arriva dalla Cina alla vigilia del passaggio di consegne.

La cessione di Zaniolo oggi sarebbe il harakiri definitivo. Anche e soprattutt­o rispettand­o la cruda logica finanziari­a. Parliamo di un giocatore che esce da un brutto infortunio, valutato in queste ore 70,1 milioni di euro dall’Osservator­io del CIES, nonostante l’enigma del ginocchio. Un ragazzo che avrebbe dovuto guardarsi l’Europeo in stampelle e invece li giocherà da protagonis­ta tra un anno.

Vogliamo immaginare quanto crescerà la sua quotazione post-virus con un ginocchio che si manifesti sano, una crescita di personalit­à e di consapevol­ezza e, verosimilm­ente un Europeo giocato alla grande? Vogliamo replicare lo sfondone Salah svenduto al Liverpool per un prezzo due volte inferiore a quello suo potenziale ma prossimo all’essere reale?

«Sarà un mercato creativo», ha concluso Petrachi e qui i brividi sono diventati parossismo. Avrete notato che non abbiamo toccato l’unico argomento degno di essere toccato. Zaniolo e la pelle. Un ragazzo sempre più interioriz­zato dalla pancia di un tifo che deve smarcarsi dal lutto di Totti e De Rossi. Vista da qui, la cessione di Zaniolo non sarebbe un gigantesco errore ma una inudibile bestemmia.

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