MERTENS SFIDA IL MAESTRO DA RE AZZURRO
Il belga adesso è il migliore realizzatore di sempre del Napoli: centoventidue reti Fu proprio Sarri a inventare Dries centravanti e il belga iniziò a segnare in dosi industriali: mercoledì a Roma il faccia a faccia per il trofeo tricolore
Enella nuvola dell’ennesima sigaretta, e nella frescura d’un portico, nella calura d’una estate gonfia d’ira e in quel vago orizzonte che si stagliava nell’ombra ormai lontana del pipita, spuntò un’idea: «Vorrei provare con Mertens». E’ luglio del 2016 e il Napoli ha una sua forma incerta, persino astratta, mentre si dondola dolentemente per quella fuga improvvisa e inaspettata e insegue un attaccante: s’avverte nitida il rumore degli elicotteri, che decollano inseguendo un sogno - Icardi - e s’intravedono Bacca o Kalinic o un universo invitante di centravanti. Milik non è ancora atterrato, sta per farlo, però porta con sé quel pregiudizio folle che nasce dai ventidue anni ed è incapace di «occultare» ventiquattro gol nell’Ajax, mica in giro per tornei amatoriali. Il pipita è una ferita che sanguina e Mertens non sa, perché Sarri non glielo ha ancora detto, che potrà diventare altro, uscire dagli equivoci, nascere a nuova vita: ma ci vorranno (ancora) quindici mesi, quelli che il destino sfrutterà per mettere fuori causa e per due volte Milik, mentre Gabbiadini si tormenterà nei propri dubbi e appassirà. Poi, cambierà il calcio, a Napoli e anche nei dintorni, e Dries Mertens, che nel 2015-2016 ha intanto segnato semplicemente undici gol, come un «uomo qualunque», troverà la sua destabilizzante dimensione: trentaquattro subito, altri ventidue nella ultima stagione con Sarri.
L’ALLIEVO. Napoli-Juventus è la loro Storia, è un oceano di ricordi che ondeggiano e travolgono, è la fantasia che va quasi al potere, muta i destini e certo li addobba di capolavori che sembrano, adesso, comparire appesi alle pareri della memoria, mentre il Maestro e il suo Allievo prediletto stanno per rivedersi. Questa è una partita, una finale, ma anche un intreccio terribilmente romantico, che riempie un’ora e mezza e però pure una vigilia, piena di aneddoti e di vigilie, del tormento per quello scudetto sfiorito in albergo a Firenze, mentre in tv andava Inter-Juventus, e però anche dell’estasi d’essere arrivati lì, con una squadra piena di talento, una esagerazione, che si sublima e si esalta nel 4-33 ma con Mertens centravanti.
RIVOLUZIONE. Diceva Sarri che per far la rivoluzione gli sarebbero bastati diciotto uomini, ma glieti, servì uno, Mertens, per stravolgere se stesso e anche il calcio italiano, gonfio di esibizioni che catturavano lo sguardo e ipnotizzavano, come una Grande Bellezza. Il Napoli arriva a DM14 con l’Empoli, ha bisogno di scoprire l’istinto del «falso nueve», in realtà un autentico centravanper un mesetto o giù di lì, poi da Cagliari in poi (11 dicembre) diventa un’incontrollabile gioia che sparge felicità tripletta in uno 0-5 al Sant’Elia, introduzione al poker con il Torino e ad una stagione che serve per provare a scrivere la favola, nella quale c’è però sempre un orco o un lupo.
Va così anche nel calcio.
IL RE. Mertens sino al momento in cui non si veste di nuovo ha segnato trentanove gol e in tre anni e mezzo, ora che sta a 122 ed è diventato il re di Napoli e dei bomber, e si gode (come ieri) la spiaggia di Nerano, ha modo di pensane