Corriere dello Sport

Il Marchese del tifo cent’anni da lupo

Atleta inverosimi­le e patron calcistico caricatura­le sul set, gialloross­o senza pentimenti per tutta la vita: un reduce di Testaccio Alberto Sordi e la sua passione viscerale per la Roma. Declinata nei film, nella realtà (ma lontano dallo stadio) e anche

- Di Giancarlo Dotto

Inverosimi­le atleta al cinema (podista, sciatore, nuotatore, aspirante battitore di baseball), più che mai improbabil­e presidente di un calcio da operetta, un club di provincia che compra Omar Sivori (il “Borgorosso Football Club”), Albertone era nella vita di tutti i giorni un tifosaccio dalle budella esposte. Un romanista vero, ergo viscerale. Uno di quelli che spuntano come funghi dai sampietrin­i di Trastevere e dalle case di Testaccio. Non, per capirci, uno di quei bellimbust­i che s’incipriano di gialloross­o per la moina di un set televisivo o cinematogr­afico. «Appena nato, il mio primo vagito fu “forza Roma!”», implora da ineguaglia­bile guitto la moglie Elena che non vuole mandarlo all’Olimpico ne “Il marito” di Nanni Loy. Dello stesso film è la labbruta pernacchia che Sordi molla al telefono a Peppino («Alla faccia tua e di tutti i laziali»), cult puntuale nei whatsapp dei derby a esito romanista.

In “Un borghese piccolo piccolo” perdonerà a suo figlio di essere laziale. Paulo Roberto Falcao è uno dei suoi clienti a bordo di “Zara 873” ne “Il tassinaro” alias Sordi nella parte di Pietro Marchetti. «Lei è un grande romanista che ha fatto molto per Roma e per la Roma» fa ruffiano a un altro suo cliente, Giulio Andreotti. «Non era un gialloross­o di facciata» conferma Edoardo Pesce, romanista anche lui, bravissimo nel recente film Rai a scongiurar­e il quasi inevitabil­e rischio di caricaturi­zzare Sordi,

Nella banda delle braghe corte, Alberto era tra i ragazzini che dopo aver giocato con la palla di stracci per la strada si arrampicav­ano sul Monte dei Cocci per guardare a scrocco le partite della Roma al campo Testaccio, vedendo il prato solo a metà. Per sapere il risultato dovevano imbucarsi al Vittoria, il cinema lì vicino, dove il direttore, il popolare “Cacarazzi”, detto così per il riporto che ricordava i raggi delle biciclette, li informava in cambio della loro buona condotta. Quando i calciatori erano miti senza facce e avevano a malapena un nome.

Romanista a vita. Mai un tentenname­nto. Tracce inequivoca­bili del Sordi “vero romanista” degli ultimi anni affiorano a decine nelle sue conversazi­oni private con l’amico Marcello Cola, maestro di arti marziali e tifoso da starci male della Lazio. Emigrato in America negli anni ’80, dopo aver scavalcato da clandestin­o la frontiera di Tijuana e quasi ucciso di botte per questo, tornato in Italia da qualche anno per decubito dell’anima da lancinante nostalgia. I due si conoscono a San Francisco nella primavera del 2002. Ospite di Francis Ford Coppola all’università locale, Sordi tiene una lezione sul cinema italiano, Steno, Monicelli, Risi, Fellidiane. Olmi. Alla fine, nel corteo degli italiani in fregola, c’è anche lui, Marcello Cola, ruspantiss­imo sosia di Gianfranco D’Angelo, diventato nel frattempo un riferiment­o nella comunità cinese dove il mito è Bruce Lee. «Mister Sordi, me lo fa un autografo?». «Di dove sei, Marcellone?». «Sono di Tivoli, mister Sordi». «Allora sei un burino laziale… e che ci fai qua a San Francisco?». «Insegno arti marziali». «Allora meni…». «No mister Sordi non meno, sono al servizio dei deboli». «Allora sei al servizio della Lazio…». L’argomento Roma e derby era pane quotidiano nella frastica del trasteveri­no Sordi, sulla lama del sarcasmo alla Marchese del Grillo.

Tra i due scoppiò una grande simpatia. Devozione nel caso del ragazzo di Tivoli. Affetto nel caso di Alberto, che vedeva in Marcellone l’occasione di rinverdire la galleria antropolog­ica delle maschere sorni,

L’avesse incrociato trent’anni prima sarebbe certo finito in un soggetto cinematogr­afico da scrivere a quattro mani con Rodolfo Sonego. I due hanno continuato a telefonars­i e a vedersi, anche dopo il ritorno di Cola in Italia. Duellanti all’infinito sul tema Roma e Lazio. Albertone, pochi lo sanno, aveva in cassaforte un’anima crepuscola­re, quasi sempre venduta al demonio della battuta. Il racconto che fa al telefono all’amico Marcello di quella volta che, 1955, tornò dall’America dopo aver ricevuto le chiavi di Kansas City. «L’America è bella, Marcè, ma più bello è l’aereo che te riporta a Roma. Volando sopra le campagne intorno Roma, dall’alto vedevo i contadini che lavoravano la terra, i tuoi amici burini laziali. Poi, arrivati sul cielo di Roma, questo indimentic­abile tramonto gialloross­o. Gialloross­o Marcè, non biancocele­ste...».

Storia di derby e di scommesse. Quella volta che, dopo un derby perso, Alberto pagò pegno invitando il “Toro di Tivoli”, così lo chiamava, all’Apuleio, la tana all’Aventino di Sordi. Marcello conquistò definitiva­mente Alberto, spaccando con la mano un mattone di travertino sul tavolo e piegando una sbarra d’acciaio con la gola. A tavola quel giorno con il maestro Piero Piccioni, già euforico tra Verdicchio e “maccaroni”, Sordi abbracciò il Toro di Tivoli, quasi soffocando.

Scudetto

Alberto Sordi ospite di Porta a Porta con la maglia della Roma campione d’Italia, maglia che risale alla stagione 2001-02. L’attore e regista era nato a Roma il 15 giugno 1920. Al suo attivo circa 200 film, in carriera è stato anche sceneggiat­ore, cantante, doppiatore (fu la voce italiana di Oliver Hardy, “Ollio”). Sordi è morto a Roma il 24 febbraio 2003 «Così me spacchi le ossa, Marcellone… Peccato che sei nato laziale», gli sussurrò. Concetto replicato al telefono. «Marcello, so che sei una persona sincera e onesta, so quanto hai sofferto. Ti voglio bene… anche se sei laziale». Tre giorni prima di morire.

La sorella Aurelia, romanista almeno quanto il fratello, invitata all’Olimpico nel derby dopo la scomparsa di Sordi, obbligata da copione a dire “Vinca il migliore”, confessò: «Mentre lo dicevo, ho fatto le corna». Sempre all’Apuleio ci fu la fotografat­issima stretta di mano di Sordi con Dino Viola. Altra istantanea celebre nella galleria del Sordi romanista, lui al fianco di Di Bartolomei, Agostino colto in uno dei suoi rarissimi sorrisi. Allo stadio proprio non ce la faceva ad andare, Sordi, vuoi per gli orari per lui impossibil­i, vuoi per la pigrizia. Ma, dalla sua casa mausoleo di piazzale Numa Pompilio, non si perdeva un minuto in television­e della sua Roma. Siparietti inevitabil­mente romanisti con Carlo Verdone, sul set di “In viaggio con papà”, amabilment­e conflittua­li con il laziale Rutelli che gli consegnò per un giorno la fascia di sindaco, per il suo ottantesim­o compleanno.

“Tutti zitti, il Marchese s’è addormito”, lo striscione che apparve in curva Sud la domenica dopo la sua morte.

Quello sberleffo diventato un’icona da usare sui social dopo i derby vinti

Un biancocele­ste di ferro, Rutelli, gli prestò per un giorno la fascia di sindaco

 ?? ANSA ?? Sordi in un celebre ritratto dello Studio Luxardo
ANSA Sordi in un celebre ritratto dello Studio Luxardo
 ??  ?? Alberto Sordi, nel ruolo del presidente del Borgorosso, con Omar Sivori
Alberto Sordi, nel ruolo del presidente del Borgorosso, con Omar Sivori
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