Le scuderie se lo creano artificiale
CALCI. Professionisti o amatori, Olimpiadi o Giochi della Gioventù: il vento fa il suo giro e tocca tutti. Un raffica può fare la fortuna di un quarterback. O la sua disfatta. Trent’anni da coach nei club, ora in Nazionale, Aristide Marossi, una volta si giocò un accesso ai play-off: «Un calcio da dieci yard, facile. Un vento forte. La palla uscì, e anche quella squadra».
Il vento segna i destini, ne plasma le possibilità. Condiziona nel tiro con l’arco, nel tiro a volo, nel calcio (c’era Caniggia, un altro figlio del vento); lo studiano in Formula 1, lo imparano i ciclisti. Chi fa il kitesurf e chi fa l’arrampicata. Il campioncino azzurro Stefano Ghisolfi, per esempio, racconta che «le condizioni migliori quando vado su sono con il freddo o con il vento: la pelle dalla roccia si sente meglio, è una buona giornata per scalare. Quando sei più in alto il vento è più forte, a volte, e in quei momenti ti senti un po’ più solo». Un soffio, e tutto cambia. Il resto, come cantano i Kansas, è polvere nel vento.
Nell’analisi dei fenomeni aerodinamici la galleria del vento è insostituibile: simula con buona approssimazione le più svariate condizioni ambientali e permette misurazioni, studio dei comportamenti aerodinamici, sperimentazione di nuove tecnologie e materiali. Alla pratica di lunga tradizione nel motorsport e dello sci (discesa libera e salto in particolare) si è aggiunta quella che aiuta i ciclisti, specie nella preparazione delle cronometro, dove materiali e posizione sono decisivi per abbassare i tempi e aumentare le prestazioni.