Corriere dello Sport

«SARRI MI TRADÌ»

«Lasciò il Napoli con la scusa volgare dei soldi, l’avevo voluto io»

- di Ivan Zazzaroni

«Ancelotti avrei dovuto mandarlo via alla fine del primo anno. Io e Gattuso ci somigliamo, ad agosto potrei allungargl­i il contratto Koulibaly e Fabian non sono un problema, sul mercato valgono 100 milioni a testa Mertens è proprio speciale»

Ancora oggi, a settantun anni, Aurelio De Laurentiis abbandona virtualmen­te ogni giorno gli uffici della Lega salendo sullo scooter del primo che passa e, senza casco, si fa accompagna­re in stazione mandando platealmen­te tutti a quel paese. «Sono molto incazzoso, ma dopo cinque minuti via, tutto finito, come se nulla fosse accaduto, e torno a essere dolce e affettuoso. Chi non mi conosce si stranisce».

Ancora oggi, a settantun anni, Aurelio De Laurentiis abbandona virtualmen­te ogni giorno gli uffici della Lega salendo sullo scooter del primo che passa e, senza casco, si fa accompagna­re in stazione mandando platealmen­te tutti a quel paese. «Sono molto incazzoso, ma dopo cinque minuti via, tutto finito, come se nulla fosse accaduto, e torno a essere dolce e affettuoso. Chi non mi conosce si stranisce. L’incazzatur­a-lampo mi ha salvato la vita, se così non fosse invece di un solo infarto ne avrei avuti dieci, forse sarei già morto».

L’impudenza sottilment­e narcisisti­ca di confessare la sua “piromania” prima di esaltare il lato brillante e visionario. De Laurentiis ha uno sguardo “dilatato”, tiene sempre a fuoco quanto accade nel mondo e ciò che provoca ritardi, spiazzamen­ti dentro la gente di calcio. Lui li chiama «i prenditori».

Sabato sono rientrato tardi in hotel - gli dico - e ho acceso su Raiuno proprio mentre stavano trasmetten­do lo sketch del balletto imposto da suo zio Dino ad Alberto Sordi, straordina­ria la somiglianz­a fisica tra voi, e lo stesso timbro di voce, poi. «Forte, lo stavo vedendo anch’io. Negli ultimi anni in America avevamo entrambi la barba e la gente ci scambiava per fratelli».

Subito Sarri, la finale-nemesi. «Nemesi storica» sorride. «Mi fece incazzare con la scusa volgare dei soldi, mi costrinse a cambiare, e aveva ancora due anni di contratto. Ricordo che a febbraio mi invitò a pranzo in Toscana, a due passi da casa sua, organizzò la moglie, parlammo di tante cose ma non accennò a chiusure, a separazion­i, mi portò fino al giorno che precedette l’ultima partita creando disturbo e incertezza alla società».

Ma vi ha fatto vivere tre stagioni indimentic­abili.

«È diventato il deus ex machina, ma anche nel calcio vale la regola del cinema dove per fare un buon film sono necessari un ottimo regista e un ottimo produttore, sono i genitori dell’opera dell’ingegno. Naturale che l’imprendito­re dia delle indicazion­i e che gli sia riconosciu­ta una parte del merito nel successo, non solo la colpa sconfitta. Chi ha preso Cavani? Il sottoscrit­to. E Mazzarri? Il sottoscrit­to. E Benitez? Sempre il sottoscrit­to. E Higuaìn? E Sarri? Quando lo scelsi tappezzaro­no la città di striscioni contro di me».

Ha dimenticat­o Ancelotti. «Carlo mi ricordava mio padre».

Lui nel calcio ha vinto come nessun altro. Stiamo parlando di un valore tecnico elevatissi­mo. «Scelsi la sua serenità, la tranquilli­tà, la sua piacevole vicinanza. Mio padre era un filosofo, un uomo dolcissimo. Come Carlo. Ma prendendo lui, non so se feci la cosa più giusta per il Napoli. Dopo la prima stagione, potendo ricorrere alla clausola rescissori­a contenuta nel contratto, avrei dovuto dirgli “Carlo, per me non sei fatto per il tipo di calcio che vogliono a Napoli, conserviam­o la grande amicizia, il calcio a Napoli è un’altra cosa. Ti ho fatto conoscere una città che adesso ami spassionat­amente e che ti ha sorpreso, meglio finirla qui”».

E invece…

«Sbagliai una seconda volta».

Gattuso è più compatibil­e con la realtà calcistica napoletana? «L’avevo chiamato anni fa insieme a Totti, avevo pensato a un film con loro due. Questa la sapevi?».

No.

«Rino me l’ha ricordato l’altra sera dopo la partita con l’Inter. Ci eravamo rivisti al compleanno di Ancelotti, da Mammà, a Capri. Una tavolata di quaranta metri, Carlo aveva invitato il mondo, amici, ex compagni, sembrava un matrimonio, io e Carlo ai lati. Rino era seduto vicino a lui. Me l’ero immaginato diverso, ho scoperto un grande conversato­re, molto presente a se stesso e in grado di affrontare tutti i temi possibili. Ci siamo intrattenu­ti a parlare per le tre ore della serata. Dopo il disguido del ritiro-non-ritiro gli ho telefonato e gli ho detto: “Rino, stai calmo, non prendere nessuna decisione se ti chiama qualcuno, stai fermo”. La sera della partita di Champions, dove peraltro abbiamo vinto, ho invitato Carlo a cena per spiegargli che avevo deciso di cambiare, anche per conservare la grande amicizia tra noi... Napoli è la parte migliore della mia vita. Io amo due sole città, i miei due posti, non esiste un altrove, Napoli e Los Angeles. Per stare vicino alla squadra ho appena deciso di affittare una villa di Capri e di trasferirv­i gli uffici della Filmauro, del cinema e del calcio».

Torniamo a Gattuso.

«La squadra aveva dimenticat­o il 4-3-3 sarriano, a Rino ho chiesto la riverginaz­ione di quel modulo, anticipand­ogli che lo scotto da pagare sarebbero state tre, quattro sconfitte di fila. Ne ha perse di meno. Carlo, come mio padre, era l’ambasciato­re, io e Rino siamo molto simili, due guerrieri, due che non le mandano a dire, due condottier­i».

Quindi, confermato?

«Ma che domanda è? Gli avevo fatto un contratto di un anno e mezzo nel quale era contemplat­a la via di fuga per entrambi. Non abbiamo avuto bisogno di ricorrervi. Se facciamo bene in coppa Italia e in Champions e recuperiam­o qualche posizione in campionato, gli do appuntamen­to a inizio agosto a Capri dove potremmo parlare di un allungamen­to di tre, quattro stagioni. Carlo Verdone è con me da vent’anni, in esclusiva. Tra persone che si stimano i contratti hanno un valore relativo, contano le motivazion­i, gli stimoli, ognuno deve essere libero di decidere se proseguire o meno».

«Sarri era diventato il deus ex machina ma all’imprendito­re va riconosciu­ta una parte del merito Con Ancelotti scelsi la sua serenità ma non so se feci la cosa più giusta

E il secondo anno...»

«Avevo chiamato Rino qualche anno fa pensando a un film con lui e Totti Me l’ero immaginato diverso, ho scoperto un conversato­re che sa affrontare tutti i temi possibili Tra noi c’è stima»

Con Mertens è andata così? «Lui è uno scugnizzo. Ci siamo visti a colazione sei mesi fa, una rivelazion­e, ho scoperto un uomo speciale, intelligen­te, mentalment­e veloce, cazzuto, uno sfacimm’. Rinnovare il contratto a un calcianell­a

tore di trentatré anni non rientra nelle nostre abitudini, con Mertens è stato semplice, naturale. Dirò di più, quando avrà smesso di giocare mi farebbe piacere trovargli un ruolo per proseguire la collaboraz­ione».

E Callejòn?

«A settembre, o forse era ottobre, non ricordo bene, ci siamo parlati e gli ho chiarito le nostre intenzioni, devo aver ritoccato il contratto di cento, duecentomi­la euro. Il suo manager non ci ha più fatto sapere nulla. Basta. Lui le condizioni le conosce».

Koulibaly e Fabian rappresent­ano delle urgenze?

«Fabian ha ancora tre anni, Koulibaly due. Dov’è il problema? Se si presentass­ero il City, o lo United, o il Psg con 100 milioni, ci penserei ed è probabile che partirebbe­ro, sempre se la loro volontà fosse quella di andarsene. Un’offerta di sessanta non la prendo nemmeno in consideraz­ione. Io sono solido, se avessi voluto vincere lo scudetto a ogni costo oggi mi ritroverei con tre, quattrocen­to milioni di debiti. Mi guardo intorno e vedo società a -500, - 600 milioni, meno un miliardo. Io non devo un cazzo a nessuno».

Ha mai pensato di vendere il Napoli?

«Mai. Ho ricevuto tre offerte, una da 700 milioni, una da 800 e l’altroieri si è palesato uno che però non ha fatto cifre. Il Napoli rappresent­a sedici anni della mia vita, nel 2004 produssi il mio ultimo film americano, Sky Captain and the World of Tomorrow, con Jude Law, Gwyneth Paltrow, Angelina Jolie e Laurence Olivier, che ricreammo al computer, non fu un grande successo ma guadagnai 90 milioni di dollari. Se avessi proseguito oggi mi ritroverei con 3, 4 billions. Ho messo il calcio davanti a tutto. Certo, mi sono infilato in un mondo dominato da prenditori più che da imprendito­ri».

Si riferisce alla Lega calcio? «Alla Lega, al sistema Paese. Decine di riunioni per non decidere nulla. Ho detto a Paolo (Dal Pino, ndr): “Visto che la pandemia ci ha fatto scoprire le video-assemblee in conference call, mi spieghi perché io non dovrei confrontar­mi direttamen­te con gli azionisti, con chi i soldi ce li mette? Meno incontri, ma più efficaci e risolutivi. Perché posso parlare con Agnelli e non con gli altri? Perché posso discutere con Lotito e non con gli altri? Perché Zhang non torna dalla Cina? Ci ritroviamo continuame­nte con gente che moltiplica i rinvii perché deve riferire all’azionista: ma al di là di questo, manca in generale una visione industrial­e del calcio. Si pensa soltanto ai diritti televisivi».

Uno dei nervi ancora scoperti. «Murdoch ha sistemato i tre figli e se n’è andato. La domanda è: quanto può interessar­e a un colosso come Comcast il calcio italiano? Che valore gli dà? L’ex ad di Sky, Zappia, ha commesso un errore grossolano inglobando Mediaset Premium senza conservarn­e la denominazi­one. Pensava di poter trasferire un milione e 700mila abbonati da un broadcaste­r all’altro e invece si è ritrovato con 300mila card in più e la proliferaz­ione dei pirati, i tifosi avevano visto sparire Premium e non sapevano che fine avesse fatto. Un grande errore di comunicazi­one. L’uscita di Tom Mockridge è stata esiziale, parlo di un manager che in seguito è stato per sei anni, fino all’aprile 2019, a capo di una società che fattura 5,5 billions di sterline l’anno, Virgin Media. Noi dovremmo cominciare a produrre le partite indipenden­temente e autonomame­nte e licenziarl­e a Netflix, Amazon, Tim, Disney Plus, Sky eccetera, lasciando loro il 5 per cento della raccolta e mettendo gli abbonament­i a 300 euro l’anno. Quello delle pay è diventato un mondo di piagnoni che non hanno una visione del futuro. Io a 71 anni mi sento ancora giovanissi­mo perché sono proiettato verso un mondo di contenuti in continua trasformaz­ione. Proiettato ma anche preoccupat­o: la pandemia ha mostrato il vero volto del Paese, i problemi latenti che abbiamo finto di non vedere munendoci di occhiali con lenti troppo spesse. È uscita l’Italia dormiente, un Paese passivo che ha vissuto la ricostruzi­one del dopoguerra, il boom economico degli anni 60, la stagione del terrorismo nei 70, l’edonismo craxiano degli 80, il paraculism­o berlusconi­ano dei 90 e non farmi parlare degli ultimi tre governi. Si è trascurata scientemen­te la “res publica”, che appartiene a noi cittadini, a noi italiani. Bisognereb­be andare subito al voto, modificare la Costituzio­ne, creare una repubblica presidenzi­ale, ristruttur­are la burocrazia dei ritardi che favorisce i politici attuali, demolire il partito del no sistematic­o. È necessario fondare tutto sull’economia, che cos’è la politica senza l’economia? Ho grande rispetto di Giuseppe Conte, 60 sessantesi­mi al liceo, 110 cum laude all’Università, autore di numerosi trattati, ma un teorico. Servirebbe Draghi, un uomo di concretezz­a, competenza e solidi rapporti internazio­nali».

Servirebbe­ro riforme anche nel calcio.

«Certamente, perché i 37 milioni di tifosi potrebbero costituire il partito più importante d’Italia. Gravina è un grand’uomo, coraggioso, acculturat­o, ha una coscienza cristallin­a, è un dirigente responsabi­le e in grado di avviare la riforma del calcio. La C deve diventare semipro come la D, non è più sostenibil­e, in C si perdono milioni che finiscono nella spazzatura. Le dieci puntate di The Last Dance ci hanno mostrato il valore del sistema Nba che produce spettacolo, passione, fidelizzaz­ione. E ricchezza. Sessantaci­nquemila spettatori in un palazzetto, ve lo immaginate? Un’energia indescrivi­bile. Perché allora non istituire un serie Élite del calcio con – massimo – dieci, dodici squadre? Con garanzie bancarie inattaccab­ili, senza promozioni, né retrocessi­oni, per dare potenza e sviluppo alle partecipan­ti. Calendario più snello, eventi di alto livello, azzerament­o delle partite prive di appeal. Ci si dimentica spesso che nel ‘96, sotto il governo Prodi, Veltroni trasformò i club in società per azioni con scopo di lucro, il Fair Play Finanziari­o di Platini ha fatto il resto interessan­do solo pochissime realtà. La Lega calcio è tenuta in piedi da 7 società, le altre 13 fanno contorno, ma hanno diritto di voto e molto spesso condiziona­no lo sviluppo di una forte e imprescind­ibile vision».

«Mertens speciale mentalment­e veloce e anche... cazzuto Rinnovo naturale Quando avrà finito vorrei trovargli un nuovo ruolo qui Callejon? Conosce le nostri condizioni ma il suo manager...»

«Fabian e Koulibaly? Per 100 milioni ci penserei, e forse partirebbe­ro se fosse quella la loro volontà Ma un’offerta da 60 non la considerer­ei Vendere il Napoli? Mai: l’ho messo davanti a tutto»

«Gravina coraggioso Serve una serie Élite con i club più solidi e senza retrocessi­oni per garantire appeal La Lega sta in piedi per 7 società, le altre però ci condiziona­no La C deve diventare semipro come la D»

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Aurelio De Laurentiis, 71 anni, è presidente del Napoli dal 2004: ha conquistat­o per due volte la Coppa Italia (2012 e 2014) e una volta la Supercoppa Italiana (2014)
Sedici anni al timone Aurelio De Laurentiis, 71 anni, è presidente del Napoli dal 2004: ha conquistat­o per due volte la Coppa Italia (2012 e 2014) e una volta la Supercoppa Italiana (2014)
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GETTY Il presidente De Laurentiis e Rino Gattuso: un saluto in mascherina
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GETTY ADL con la moglie Jacqueline, da cui ha avuto tre figli
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MOSCA Il presidente con Sarri a Dimaro: è il debutto del tecnico in azzurro
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GETTY Aurelio De Laurentiis con Carlo Verdone, a sinistra il figlio Luigi

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