Corriere dello Sport

«PER IL NAPOLI NON C’È SFIDA IMPOSSIBIL­E»

Il presidente azzurro abbraccia il quarto trofeo della gestione e rilancia il progetto in Italia e in Europa «La squadra è fortissima e siamo noi l’anti-Juve Sogniamo la Champions: Il Barcellona? Ce la giochiamo»

- Di Antonio Giordano @RIPRODUZIO­NE RISERVATA

In quella cattedrale in cui s’è recitato il più religioso dei riti laici, anche i «duri» mostrano di avere una loro anima: e quando la sesta Coppa Italia s’accomoda tra le braccia e la commozione di Aurelio De Laurentiis, una linea d’ombra sembra separare il presente (fors’anche il futuro) da quel passato rovinoso del 2004: sono volati tre lustri e oltre dalle notti terribili del Fallimento, sarebbero tanti eppure sono niente, perché ormai da undici anni c’è un’Europa che spalanca le proprie braccia al Napoli, mentre il quarto trofeo si fa posto in bacheca, restituend­o allegria a una città incredula per aver rivisto la luce quando ormai temeva di dover fronteggia­re l’oblio d’un ciclo. Non è mai finita, anche quando sembra che lo sia: e ora, infatti, non c’è traccia di malinconia, né il «terrore» che sia scaduto un tempo, questo, perché un altro ne sta ripartendo, inseguendo un fascio di luce, un orizzonte che da undici trascina tra le Grandi. Pure questa sa di bella epoque.

Tra tre Coppe Italia e una Supercoppa, Aurelio De Laurentiis avrà l’imbarazzo della scelta per indicare la più bella.

«In genere, si dice che il primo amore non si scorda mai. Ma il trionfo dell’altra sera ha un sapore diverso e speciale. Arriva dopo un periodo dolorosiss­imo per l’umanità intera, Sud compreso, e rappresent­a un passo verso la normalità. Sa di riapertura, pare un sipario che si alza. O meglio ancora, sa di alba: è come se stesse risorgendo il sole».

E per il Napoli, che a un certo punto pareva al tramonto d’un ciclo, sa di resurrezio­ne. Dica la verità: ha mai avuto paura? «Mai. Perché sono sempre lucido nelle mie scelte, non agisco mai d’istinto e, anzi, nelle difficoltà, viene fuori la parte razionale e ragionevol­e di me. Mi assumo sempre le mie responsabi­lità, ci metto la faccia, l’ho fatto anche quando ho dovuto separarmi da Ancelotti: in tanti pensavano stessi sbagliando, Carlo stesso me lo disse, però evidenteme­nte era necessario quell’intervento».

Le hanno tolto il piacere, intanto, di tenersi la Coppa Italia al suo fianco.

«L’ho concessa ai ragazzi e a Gattuso per una notte, ma una soltanto. Poi la voglio qua, vicina alle altre, per gustarmela e ricordarmi di quante cose siamo stati capaci in questi sedici anni».

«Con Gattuso ci siamo presi subito: ha avuto un effetto immediato sul gruppo. Ho fiuto sugli allenatori»

«È stata di Lotito la prima telefonata dopo la vittoria

A un certo punto eravamo rimasti noi a lottare per il calcio»

«L’annuncio dei rinnovi di Zielinski e Maksimovic? Intanto fatemi godere il successo Non abbiate fretta»

«Meret grandissim­o Gliel’ho detto prima della finale: tra i pali sei un gigante devi solo acquisire il rilancio di Reina od Ospina»

Fotografie di una serata indimentic­abile: la prima telefonata?

«Mi pare di ricordare Claudio Lotito, doveva essere mezzanotte. Poi ho chiuso il telefono e stranament­e ho dormito sino alle nove, io che alle sei sono già sveglio».

S’è battuto perché il calcio riappariss­e sulla scena.

«A un certo punto eravamo rimasti io, Gravina, che ha lottato strenuamen­te, Dal Pino, Lotito e pochi altri. Una minoranza. Come se il calcio fosse nostro. Lo abbiamo difeso perché è di tutti, anche se non tutti l’hanno capito in fretta. Dietro i volti dei giocatori famosi, c’è altro: questo è un gioco meraviglio­so, bellissimo, che ha avuto la forza di unire. La Coppa Italia ha rappresent­ato uno spot e forse, per certi versi, pure un’occasione mancata per riaprire a un numero contenuto di spettatori. Ipotesi che spero venga accolta in fretta, magari anche dal primo luglio, compatibil­mente con il migliorame­nto della situazione generale».

La squadra che l’applaude al centro del campo, chiude un periodo complicato. Potrà svelare adesso il contenuto di quel discorso.

«Visto che non siete riusciti a registrarl­o, potrei tacere. Non ho fatto nulla di eclatante, ho solo ribadito che manterrò una promessa: pagare lo stipendio di marzo che, come si sa, è ancora bloccato da norme vincolanti e da accordi generali da trovare. E poi penserò a qualcosa di simbolico, che resti come ricordo».

Lei e Gattuso vi vedrete presto. «Ci siamo già incontrati prima della gara, abbiamo chiacchier­ato come al solito, non avremo problemi a far convergere le nostre idee. Ci siamo presi subito, ha avuto un effetto immediato su questa squadra che per me è fortissima. Non lo dico da oggi, non sono neanche io a dirlo: è il campo che lo sostiene. L’anti-Juventus siamo stati noi in questi anni, per quel che abbiamo vinto e per quello che abbiamo rischiato di vincere».

Cosa ci ha messo di suo, Gattuso?

«L’autorevole­zza che l’ha fatto entrare nella testa dei ragazzi. Una empatia che è scattata subito, tra me e lui, tra lui e in calciatori. Mi riconosco di averci visto giusto e, con modestia, di aver avuto sempre fiuto nella scelta dei tecnici».

Lo bloccò dopo aver parlato con Allegri e non è leggenda metropolit­ana.

«Ho l’abitudine di fare valutazion­i ampie e volevo sentire sia Allegri che Gattuso. Chiamai prima Allegri, con cui ho un rapporto diretto e di stima da anni e quando gli telefonai fu onesto e mi disse: Aurelio, sto fermo, ne ho bisogno, non c’è preclusion­e assoluta, perché avete realizzato un progetto straordina­rio. E poi noi due ci vogliamo bene. Ma ho deciso di starmene un po’ tranquillo. Chiamai Rino, come da copione, e venne a Roma: e adesso eccoci qua».

La sua «ossessione» è il rinnovamen­to d’un sistema che sa di vecchio. «Il visionario che è in me pensa che si possa migliorare, anzi che si debba, per non scoprirsi in ritardo. L’evoluzione è quotidiana, la scienza e la tecnologia fanno passi avanti e la storia si aggiorna, solo noi rimaniamo indietro: si possono adeguare la Champions, l’Europa League, i campi stessi, riducendo il numero delle squadre nei massimi tornei, senza che ne risenta né lo spettacolo, né la passione».

Ma ora si entra nel mondo della fantasia: quarti di finale, per cominciare...

«Non ci tolga i sogni, sono il motore della vita. Possiamo andarcela a giocare a Barcellona, e mi auguro persino che per agosto il Camp Nou possa essere riaperto,

perché sarebbe uno spettacolo. Siamo sereni, convinti delle nostre possibilit­à, poi passi il migliore. Ma i quarti di finale a Lisbona sono elettrizza­nti...».

Lei continua a inseguire la Champions e il quarto posto (almeno).

«Non è semplice, non è impossibil­e. La distanza è notevole ma il Napoli che ha vinto la Coppa Italia ha battuto nell’ordine Lazio, Inter e Juventus. Ci proviamo, anche perché il quarto posto cambierebb­e pure gli scenari futuri. Non sappiamo quale sarà il contesto economico nel quale andranno inserite eventuali cessioni, né i parametri che la tendenza del mercato imporrà per gli acquisti. Contare sui diritti Champions ti toglie questa ansia da dosso».

Adesso annuncerà anche i rinnovi di Zielinski e Maksimovic? «Voi giornalist­i avete sempre tanta fretta. Neanche il tempo di ufficializ­zare quello di Mertens e già siete lì a pressare. Fatemi godere questo successo, la bella partita di Meret, che è grandissim­o: glielo ho detto prima della finale, tra i pali sei un gigante ma devi solo acquisire la capacità di rilancio di Reina od Ospina».

Il 17 non le piaceva e ora sarà costretto a rivedere le sue teorie. «Ho sempre pensato che in quel giorno morì mio nonno Aurelio. Il resto l’ha fatto la credenza popolare. Ma questo è il numero di Hamsik, che è stato per dodici anni il nostro leader».

E la prossima sarà la sua 17ª stagione.

«Ma io condivido la continuità del Progetto con un pizzico di fortuna. E poi sappiamo cosa vogliamo».

E lei questa Coppa Italia a chi la dedica?

«Per il potere sociale, è di questo Paese meraviglio­so, il più bello del Mondo; per la gioia che rappresent­a, è per questa città fantastica, si chiama Napoli, che ha pochi eguali».

«Il trionfo il 17? Quel numero non mi piaceva perché quel giorno morì mio nonno Aurelio, ma poi c’è stato Hamsik»

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ANSA GETTY Da sinistra: De Laurentiis con Insigne che bacia la coppa; l’esultanza di Milik; Koulibaly; il gesto di sportività nella premiazion­e condivisa con Andrea Agnelli

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