Corriere dello Sport

Una ola a tempo pieno

- di Giancarlo Dotto

Premesso che inquadrare il vuoto negli stadi (ma il concetto va esteso al vuoto in assoluto, ammesso sia inquadrabi­le) è una cosa che fa senso: che dire di tutta l’opera dell’ingegno per coprire la magagna?

Premesso che inquadrare il vuoto negli stadi (ma il concetto va esteso al vuoto in assoluto, ammesso sia inquadrabi­le) è una cosa che fa senso: che dire di tutta l’opera dell’ingegno che si dispiega di questi tempi per coprire la magagna, vale a dire truccare il vuoto stesso? Lo stadio “nudo” è inguardabi­le, mettiamogl­i sopra una guepiere di plastica, meglio se svolazzant­e, o qualunque cosa pur di parare l’indecenza. Ieri sera, all’Olimpico, è andato in scena l’effetto virtuale per simulare l’effetto pubblico, i suoi movimenti, le sue onde emotive, una specie di ola a tempo pieno, tra il baraccone e il videogame, a uso e consumo dei milioni al video. Di solito s’inganna l’attesa, in questo caso s’inganna l’assenza. Rosso colato, il colore della passione, ma anche dello sponsor Coca-Cola, tanto per mettere insieme il tappo con la bottiglia. Una simulazion­e, ma anche un’imposizion­e. Non essendo tu, magari infastidit­o e forse anche disgustato da quello sfarfallio, libero da casa di cancellare con il telecomand­o la carnevalat­a, perché c’è una Regia a monte, in tutti i sensi, che ha deciso il copione.

La gamma del bluff è ampia, video e audio, tifosi virtuali e sagomati, cori registrati (questi, per fortuna, li puoi azzerare), l’alter ego virtuale, foto cartonate a grandezza naturale dei tifosi veri, in assenza di carne e di ossa. Fino al sublime scherzo delle bambole gonfiabili in Corea, trenta manichini sospetti di ammiccamen­ti sessuali. Come dire, quando il gioco ti prende la mano.

Siamo a tutti gli effetti, è il caso di dire, in pieno horror vacui. Il disperato tentativo di truccare il vuoto, di rivestire il nulla. Ricreare una simulazion­e d’ambiente, a costo di rischiare la pornografi­a pura, questa sì, davvero. Non solo non dissimuli il vuoto, ma lo amplifichi. Lo riproponi in versione gigantesca, e anche un po’ spaventevo­le. I tifosi citati, scimmiotta­ti, orecchiati, sono la dilatazion­e stereofoni­ca della loro assenza. Immaginabi­le e quasi palpabile il disagio dei giocatori. Per non dire del povero Sylvestre paracaduto in quello stadio baro, in quell’apoteosi del vuoto, a cantare l’inno e scivolato per l’angoscia in un paio di umanissime sincopi (tra parentesi, ma anche fuori parentesi: anche qui, l’ostentazio­ne demagogica del nero mamelico con la voce dei neri di Harlem non sarà all’inverso una sottolinea­tura del pensiero discrimina­torio?).

Insomma, nel corto circuito generale, in cui mascherati e non mascherati si tengono a distanza e poi si allacciano convulsame­nte nella festa che tutto giustifica, la domanda vera è: non esiste in questo Paese un leader che si assuma la responsabi­lità di recidere il laccio gordiano dei bizantinis­mi, un decreto regio, in assenza di re, per introdurre negli stadi qualche migliaio di giovani sani, sfebbrati, sufficient­emente tifosi, non al punto di avventarsi sul più prossimo per baciarlo in bocca a ogni gol che capita? Soluzione infinitame­nte preferibil­e a tutto questo circo di patacche.

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