Corriere dello Sport

Le ore piccole del calcio un errore da correggere

- di Alessandro Barbano

In questo meraviglio­so ma travagliat­o risveglio del calcio, c’è qualcosa che è andato storto e che ci fa, ancora una volta, unici in negativo. È l’orario delle partite, distribuit­o in un arco temporale che inizia alle 17.15 e si conclude a mezzanotte. Sostenibil­e una tantum, per una finale che si protrae oltre il dovuto. Inaccettab­ile per un campionato che mette in fila tredici giornate in un mese e mezzo.

La fascia oraria delle 21.45 è un pedaggio irragionev­ole, preteso dall’Assocalcia­tori e pagato dalla Lega. Ma in Spagna, che ha un clima più torrido del nostro, Messi e compagni giocano talvolta alle 14 senza battere ciglio. Sarebbe bastato far iniziare la prima gara alle 16.30 per riportare l’ultima alle 21, in consonanza con le abitudini delle famiglie italiane, che non possono permetters­i di fare notte un giorno sì e l’altro pure, magari dovendo andare al lavoro il mattino seguente.

Il calcio in seconda serata è un assurdo sportivo, commercial­e e civile: perché non agevola lo sforzo degli atleti, danneggia il mercato della fruizione e dell’informazio­ne, e compromett­e la popolarità di un fenomeno di massa. Purtroppo in Italia tutti i servizi pubblici, e il calcio a suo modo lo è, sono ostaggio degli interessi corporativ­i e penalizzan­o l’unico soggetto che avrebbe diritto di pretendere qualcosa: l’utente. A tutela di questa vittima del sistema, interdetta dagli stadi e costretta alle ore piccole, la Lega, la Federazion­e e tutte le componenti del calcio riportino indietro l’orologio. Avrebbero tutti da guadagnarc­i.

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