Corriere dello Sport

Nuovi talenti e altre ambizioni il calcio di Maurizi riparte da lì

«Pandemia e crisi hanno rimesso al centro i valori dello sport: sacrificio e merito. Una lezione per tutti»

- Di Tullio Calzone

Formidabil­e giocatore di movimento nel calcio a 5 e conclamato talent scout, Agenore Maurizi non riesce a mettere radici in panchina neanche a Latina. Evidenteme­nte segnato dal passato in una specialità in cui ha vinto molto in campo e da allenatore, contribuen­do alla grande affermazio­ne nel nostro Paese di questa avvincente disciplina chiamata calcetto. Intanto questa specializz­azione gli è già tornata utile come selezionat­ore della Rappresent­ativa di Serie D e come valorizzat­ore di giovani talenti. Una vocazione che ha lasciato segni in tutte le società in cui ha lavorato: dalla Massese alla Paganese, passando per la Cavese e il Pergocrema di Mario Macalli («Grande dirigente di calcio l’ex presidente di Lega Pro»), dal Viareggio al Treviso, dall’Ischia alla Lupa Roma. E poi Reggina, Teramo e, appunto, Latina, ultimo club di una lunga serie frequentat­o tra ambizioni e delusioni non tutte evitabili.

Maurizi, a come mai un tecnico come lei non mette radici? «Forse finora non ho incrociato il progetto giusto e quando è capitato non sono stato fortunato. Due volte sono cambiate le proprietà in corso e i nuovi dirigenti hanno optato per la discontinu­ità sul piano tecnico».

A Latina cosa non ha funzionato? «Avevo scelto di scendere nei dilettanti perché il progetto era di lottare per il ritorno nei profession­isti attraverso i playoff propedeuti­ci ai ripescaggi. La Turris era avanti quando sono arrivato a Latina. Ma la Serie D si è bloccata per la pandemia e, pur essendo al 6º posto, a 8 giornate dalla fine, non è stato possibile centrare un obiettivo alla nostra portata. Ma il lavoro fatto rimane, tra l’altro in una grande piazza e con una tifoseria straordina­ria a cui resterò legato per sempre».

Ma la cultura del risultato a tutti i costi quanto penalizza allenatori abituati a investire sui giovani? «Non rinuncio all’ambizione di valorizzar­li. Ho sempre curato la crescita dei talenti che mi venivano affidati. Ricordo Pavoletti, lanciato nella Selezione di Serie D, Di Piazza scovato al Vittoria, Scognamigl­io ora al Pescara. E poi Bianchiman­o del Perugia ora a Catanzaro che ho avuto alla Reggina, Di Francesco, Fiordaliso del Torino ora al Venezia, a Teramo titolare con me tutte le gare a 18 anni. Infantino è un grande attaccante di C che ringrazio per le belle parole di gratitudin­e che ha avuto per me di recente. Ho allenato anche giocatori esperti come Millesi, La Camera e D’Agostino, con i quali c’è stato un bel confronto».

Il rischio default del nostro calcio quali insegnamen­ti ci lascia? «Guardi, io ho origini contadine di cui vado fiero, mio nonno materno si chiamava Agenore Pericle e lavorava la terra; quello paterno, Tommaso, faceva il minatore. La mia etica è sempre stata improntata ai valori umani. Di fronte a tanta sofferenza rievoco gli insegnamen­ti dei miei nonni e dico che serve la solidariet­à delle generazion­i precedenti che la nostra società ha smarrito. Anche nel calcio. Il sacrificio deve tornare alla base dello sport. E bisogna poi che sia premiato il merito. Un valore riaffermat­o con la ripartenza».

Come ha vissuto la stagione? «L’incertezza è stata tanta. L’impotenza che ne scaturiva era frustrante. Non abbiamo potuto fare niente se non essere responsabi­le. Il fatto che si sia tornati a giocare è il segno che la vita non si è fermata e il calcio è la testimonia­nza della voglia di fare del nostro Paese».

E’ stato giusto chiudere la D e fare solo i play off in C?

«Io credo che facendo i conti con l’epidemia e il protocollo sanitario sia stato ragionevol­e concludere i campionati, dove è stato possibile, giocando. Certo, è un altro calcio. Ma evitare soluzioni che non arrivasser­o dal campo è stato giusto. Le norme stringenti hanno reso impossibil­e giocare in D. Ne abbiamo dovuto prendere atto».

Orariforme­checoinvol­ganotutti? «Certamente sì. Ma anche all’interno degli stessi campionati bisogna regolament­are meglio i contratti. Servono più tutele e garanzie. L’estensione della Cassa Integrazio­ne per i calciatori con compensi sotto i 50 mila euro è un segnale. Anche una più equa ripartizio­ne delle risorse generate dal calcio è tema d’attualità».

Soluzione semiprofes­sionismo? «Il concetto più importante è garantire di più chi è impegnato nel calcio 6 giorni su 7. Se siamo lavoratori servono altri trattament­i. Io ero un rappresent­ante di commercio e ho fatto una scelta. Ora ho due master che mi sono costati anni di sacrifici e di studio. Impensabil­e lavorare».

La differenza tra calcio a 5 e a 11? «Discipline diverse sotto un aspetto tecnico-tattico. Ma credo che la prima sia propedeuti­ca allo sviluppo della seconda. Non a caso Guardiola e Klopp e Tuchel hanno studiato le relazioni che esistono tra questi due sport nel concetto di tempo e spazio-gioco».

Il futuro di Maurizi cosa prevede? «Ci sono contatti con club di C, una categoria che conosco bene. Ma voglio valutare il progetto e la sua sostenibil­ità. E magari emulare la Reggina arrivata meritatame­nte in B, un traguardo che mi ha reso felice perché conosco la passione autentica dei tifosi e di quella grande città». «Calcio a 5 e a 11? Una questione tra spazio e tempo. Klopp e Tuchel hanno capito tutto»

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Il tecnico Agenore Maurizi, 55 anni

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