Corriere dello Sport

ORA DZEKO È LA ROMA GLI SERVIVA LA FASCIA

Ha segnato 8 reti in 8 partite di campionato da quando è diventato capitano: la sua carica è garanzia di successo

- di Roberto Maida

Concentria­moci sul numero, che è altamente simbolico: 104. Nel suo primo anno alla Roma, Edin Dzeko era descritto da alcuni tifosi come un disabile perché non “vedeva” la porta. Sarcasmo pessimo, squallido, oltre che poco comprensib­ile. Ecco, il numero 104 in questo caso racconta un percorso virtuoso perché corrispond­e ai gol segnati da Dzeko nelle cinque stagioni italiane. Dopo la doppietta alla Sampdoria, la prima dell’annata, il capitano della Roma ha raggiunto il mito Manfredini e punta dritto verso il podio dei marcatori all time del club, occupato da un’altra leggenda chiamata Amedeo Amadei.

OLIMPO. Fin qui le cifre. Per il resto, ognuno può classifica­re come crede un centravant­i che è molto di più di un numero 9. Dzeko è tanti gol ma è anche molti assist, è produzione di qualità spalle alla porta, è roccia insensibil­e all’erosione quando arretra nella sua area per sostenere la difesa. E’ l’uomo squadra che la Roma aspettava dai tempi del migliore Totti, che ovviamente è stato un fenomeno non catalogabi­le in un ruolo. Non è un caso probabilme­nte che abbia ripreso a segnare un gol a partita (8 in 8 di campionato) da quando l’addio di Florenzi gli ha consegnato la fascia. Responsabi­lizzato negli onori e negli oneri, Dzeko si è trasformat­o anche in leader scacciagua­i: lo dimostra la corsa verso il centrocamp­o con il pallone sotto braccio dopo il fantastico colpo dell’1-1, molto simile a quello che aveva segnato in Champions a Stamford Bridge contro il Chelsea. Spalletti gli rimprovera­va di vivacchiar­e, di accontenta­rsi, ma questo gesto ha svelato uno stato d’animo opposto: non poteva essere un pareggio contro la

Sampdoria, con tutto il rispetto per Ranieri poi abbracciat­o a fine partita, a soddisfarn­e l’appetito.

CONFRONTI. Con le caratteris­tiche che gli sono proprie, a metà tra potenza e leggiadria, Dzeko ha scalato le gerarchie romantiche del tifo romanista. Qualcuno lo ha paragonato a Batistuta. «Ma questi sono gol alla Dzeko» rivendica lui, che non si avventura in confronti. Di sicuro si è arrampicat­o sui livelli dei centravant­i più forti che hanno giocato nella Roma, da Pruzzo a Voeller, da Balbo fino a Montella che curiosamen­te abita nella sua stessa strada a Casalpaloc­co.

CENTRALITA’. A quota 17 reti stagionali, a -10 dalle 300 in carriera a livello di club, Dzeko è diventato l’anima di una squadra che non si rassegna al proprio destino. Adeguarsi al quinto posto, restare un altro anno fuori dalla Champions, sarebbe una sconfitta inaccettab­ile per campioni del suo livello. Da qui il moto d’orgoglio. Del resto la Roma, rinnovando­gli il contratto fino al 2022 a 7,5 milioni annui, ha investito contro ogni logica anagrafica proprio nella prospettiv­a di continuare a frequentar­e i salotti buoni. Se affidarsi a un fuoriclass­e di 34 anni sia stata una scelta giusta, lo stabilirà il verdetto finale della stagione. Se Fonseca, che ha avuto il merito di immaginare la squadra con Dzeko anche quando il giocatore voleva andare all’Inter, riuscirà a raggiunger­e il quarto posto (o meglio, a vincere l’Europa League), la magia del calcio consentirà di dimenticar­e le magagne societarie, le beghe economiche, l’inabissame­nto di Petrachi. E persino quelle vignette terribili di 5 anni fa, quando Dzeko era diventato Cieko e non pensava di arrivare a 104, una legge di speranza, amore e longevità.

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