Corriere dello Sport

Dal tennis al volley e adesso anche la Nba la “chiamata” come evoluzione necessaria

Il challenge ha origine nelle leghe Usa: football poi hockey, baseball e da quest’anno il basket

- Di Christian Marchetti

Challenge? "Var a chiamata"? Correva l'anno 2018 e i detrattori abbondavan­o, tutti pronti a bocciare qualsiasi tipo di novità per il neonato Var. Ma ora lo scenario è cambiato - siamo al terzo anno con la nuova tecnologia - verso quello strumento che in altre discipline è da tempo consuetudi­ne, assumendo talvolta nomi suggestivi, addirittur­a prendendo in prestito metafore al mondo animale.

AQUILA. Prendiamo il tennis, dove i destini di una partita sono spesso nelle mani - pardon, nell’occhio di un falco. Si chiama infatti “hawk eye”, in pochi sanno che sia stato mutuato dal cricket e i giocatori vi fanno ricorso dal lontano 2006. Può essere “scomodato” tre volte ogni set da ciascun giocatore, una supplement­are in occasione del tie-break. Se il ricorrente ha ragione non viene scalato dal conto totale. Il ritmo del match risente non poco dell'interruzio­ne, che anzi può anche far tirare il fiato a chi insegue, ma la spettacola­rità del video con la ricostruzi­one virtuale della palla che si avvicina alla riga, soprattutt­o per i telespetta­tori, è fuori discussion­e. Ed è più o meno quanto accade nel “video-check” della pallavolo: le panchine hanno diritto di riguardare al video il punto contestato, entro 8 secondi dal fischio dell'arbitro o durante l'azione stessa ma solo tramite tablet, in due occasioni per set e vedersi scalato il numero di occasioni solo se in torto.

COMBATTIME­NTO. Nel karate, il tecnico che si sente defraudato di una decisione può ricorrere alla “video-review” grazie a un cartellino, che perde nel caso i giudici confermino la decisione col supporto delle immagini. L'arbitro della scherma è il solo a controllar­e il video, ma su segnalazio­ne degli atleti che hanno tre opportunit­à per ogni assalto. Il replay istantaneo della pallanuoto serve a decidere se un pallone ha varcato o no la linea immaginari­a di porta e per evitare scorrettez­ze in acqua.

Anche pallanuoto scherma e karate: si possono rivedere gli episodi dubbi

AMERICANI. Nelle leghe pro’ nordameric­ane il challenge è entrato nella tradizione quasi quanto gli hot dog in tribuna. I primi ad averlo a disposizio­ne, già dal lontano 1986 (!), sono stati gli allenatori del fo

otball, lanciando in campo un fazzoletto rosso che fa molto rubabandie­ra. Un gesto che possono compiere in due occasioni. Poi è entrato nell'hockey su ghiaccio (una sola chiamata a partita) e nel baseball, in quest'ultimo caso fino all'ottavo inning. Nel basket Nba ha debuttato quest'anno. Viene chiamato anche qui dalle panchine, una volta a partita, e il replay visualizza­to sul maxischerm­o dell'impianto. Bisogna tuttavia spendere un time out. Non si può ricorrere all’istant replay negli ultimi due minuti dell'ultimo quarto o di un tempo supplement­are, a meno che non siano gli arbitri stessi a chiederlo.

ALTRI VAR. Viene “simpaticam­ente” chiamata Var anche la moviola in corsa del ciclismo, per la Formula 1 e il motomondia­le ma di challenge neanche l'ombra. Così come nel rugby, dove è soltanto l'arbitro, nella maggior parte dei casi dopo aver consultato senza successo gli assistenti di linea in caso di dubbio su una meta, a chiamare in causa il television match officer (il TMO, inserito dal 2003) presente in tribuna: le immagini possono essere viste in campo da tutti, tifosi compresi.

A proposito di gare che si concludono sul traguardo, papà (anzi nonno) delle immagini in campo per stabilire il vincitore resta il caro vecchio fotofinish, a sua volta discendent­e del leggendari­o filo di lana. Tornando al calcio fa invece quasi tenerezza, oggi più che mai, ricordare l’archeologi­co telebeam del 1986.

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GALBIATI Un episodio all’esame del video check in un match di pallavolo
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GETTY Una chiamata di Novak Djokovic durante un match con Andy Murray

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