Corriere dello Sport

DE ZERBI: «ETICHETTE? BASTA, VOGLIO VINCERE 1-0»

Oggi il Sassuolo annuncia il rinnovo del tecnico tra i più studiati in Europa «Gli ultimi 3-3 spettacola­ri? Non mi piace dare un colpo e riceverne un altro. Preferisco darne due e chiudere il match. Nel calcio troppi cliché»

- Di Bruno Bartolozzi

De Zerbi, oggi l'annuncio del rinnovo con il Sassuolo: è pronto a continuare a convivere con le etichette che la identifica­no come l'allenatore sulla bocca di tutti i club, le cui squadre danno spettacolo, fanno e prendono molti gol (48 realizzati e 49 subiti, in questa stagione)? Un nuovo Zeman con la nuovissima fama del tecnico delle rimonte-show, come accaduto con Inter e Verona (entrambi 3-3)?

«Lo spettacolo piace e piace essere ammirati. E invece io non sono contento. O non del tutto. Il Sassuolo rimonta, ha spirito, non molla, costruisce occasioni. Eppure abbiamo subito in queste prime tre partite gol brutti da vedersi. E non solo per colpa dei difensori. Un gol è persino arrivato su rinvio del portiere per colpa di una posizione sbagliata di un attaccante. Non mi sento di assecondar­e l'idea che io non lavoro per difendere».

Ma i numeri?

«Per tre quarti della stagione, fino alla gara con l'Atalanta siamo stati la settima difesa. Nei due inizi, quello di agosto e ora, invece, non è stato così, ma quando la squadra ha continuità di gioco sa difendere».

Quindi, abbattiamo un clichè, lei, De Zerbi preferireb­be vincere 1-0 che 4-3, possiamo dirlo?

«Non mi piacciano i 3-3 o i 4-3. Non mi piace dare un pugno e riceverne un altro. Preferisco darne uno o due e finire il match. In questa fase la alternanza di calciatori dovuti alle gare ravvicinat­e e alle cinque sostituzio­ni non aiutata a mantenere gli assetti».

E in questa luce si prepara a gestire il futuro al Sassuolo?

«A metà maggio la società mi ha fatto capire che sarei rimasto e abbiamo cominciato a accordarci».

Roma, Fiorentina, persino Barcellona: in tanti la seguono. Dovranno aspettare a lungo? Che programma ha preteso dai suoi dirigenti? L'Europa? «Finiamo queste dieci gare. E chiudiamo la questione aritmetica della salvezza. Non sono vecchio, ma abbastanza esperto da capire che gloria e attenzioni finiscono in cantina in poco tempo. E quindi in base al finale di stagione diremo cosa ci si aspetta da questo gruppo. Carnevali (l'amministra­tore delegato, ndr) mi ha detto che Boga, Berardi e Locatelli resteranno. Queste gare sono utili a capire chi altri resterà e come sarà la prossima stagione».

Boga è ormai libero dai diritti che il Chelsea aveva in passato. Può diventare un top player? «Dieci gol, tutti su azione. In alcune gare è da 8 in pagella, in altre scompare. Deve trovare continuità, intensità. Se vuole crescere per se stesso e per la squadra. Dai suoi progressi e da quelli di altri potenziali grandissim­i calciatori capiremo lo spessore del Sassuolo».

Da chi?

«Abbiamo tanta qualità. E dobbiamo essere in grado di utilizzarl­a con continuità. E mi aspetto questo scatto non solo da Boga: da Djuricic, che non è più un ragazzo, da Rogerio, da Bourabia, Locatelli, Muldur. E altri».

Si parla da tanto di De Zerbi in un grande club. O preferireb­be una carriera alla Gasperini, portando avanti un progetto come quello dell'Atalanta? In effetti il Sassuolo ha tutte le caratteris­tiche... «Inseguo una carriera di soddisfazi­oni personali. Allenare dove, come e quando voglio io. In libertà. Gasperini è tra gli allenatori più innovatori d'Europa, senza di lui l'Atalanta non sarebbe nemmeno lontana parente di quella che vediamo. Ha introdotto novità importanti ed è felice. Io sogno la libertà di Bielsa, un allenatore che ha deciso di fare quello che sentiva. È rimasto se stesso, ha cambiato il Cile, ha uno stadio che porta il suo nome. Ha perso in finale di Copa America ai rigori con il Brasile, quando guidava l'Argentina e ha vinto un'Olmpiade. E ha fatto quello che si sentiva. Sempre conservand­o la fedeltà ai suoi principi. Io invidio Bielsa nel modo più sano per la libertà che ha saputo darsi».

Bielsa si applica in modo estremo «I grandi allenatori studiano fino all'inverosimi­le: Allegri, Klopp, Guardiola. Ma Bielsa va oltre. Ha scelto sempre cosa fare e come».

Durante il lockdown ha tenuto una lezione ai tecnici della Cantera del Barcellona, attraverso il suo amico Guerrero. Barcellona e Sassuolo hanno, nelle grandi differenze, una cultura calcistica simile. Questo la porta ad avere certe relazioni?

«Anche Ulivieri mi ha invitato a

Coverciano per confrontar­mi con alcuni colleghi, ma non mi sento affatto un professore, parlo di quello che accade nella mia bottega. Il calcio non si intende in un modo solo. E questo è un grande stimolo. Quando venni a Sassuolo incontrai il patron Giorgio Squinzi: non mi chiese altro che giocare al calcio. E questo ho provato a fare. I tecnici del Barcellona hanno voluto conoscere quali sono le difficoltà nel mio metodo d'allenament­o, quali le caratteris­tiche».

A proposito di quell'anno, il 2018: affronterà mercoledì (domani, ndr) la Fiorentina di Iachini. Allenava il Sassuolo e aveva fatto bene, ma venne scelto De Zerbi. Adesso non è che ci risiamo? Il futuro di Iachini a Firenze dipende da queste partite: se lo batte gliene fa un'altra...

«Io e Iachini vogliamo vincere.

Sicuro. Senza pensare a chi andrà in difficoltà. Lo stimo tanto. Abbiamo idee calcistich­e diverse. Da giovedì gli auguro molti successi. Ma io sto bene qui e non guardo a Firenze. L'ho sostituito in un posto dove aveva centrato un obiettivo. Siamo solo due allenatori con idee diverse».

Ogni artigiano ha segreti e regole. Quali sono le sue? Ha cambiato il suo 4-3-3, ad esempio in un più dinamico 4-2-3-1, forse per le caratteris­tiche di Caputo o per cosa altro?

«Non ho questo tipo di riserve sul modulo. Io quando provo a introdurre elementi di novità è perché cerco le soluzione ai bisogni che emergono dalle caratteris­tiche dei calciatori. Non mi interessa difendere a tutti i costi l'idea di una difesa a quattro, ho giocato spesso a tre. E nemmeno quella di un centrocamp­o a tre, con un vertice basso. No. Il calcio è determinat­o dalle giocate di qualità. E il risultato sposta tutto. Certo, ogni allenatore ha un'idea di calcio alla quale prova a restare fedele, si parte da questo».

«A maggio mi hanno fatto capire che avremmo rinnovato Mi hanno assicurato un progetto Europa? Carnevali ha detto che Locatelli, Boga e Berardi resteranno Il futuro in 10 gare»

«Il mio modello è Bielsa: allenatore libero. Fa quello che si sente di fare. Idea geniale? Emre Can a destra nella difesa a 3 contro l’Atletico, firmata Allegri.Gasp sa fare la differenza»

E se dovesse spiegare quali sono le sue idee di gioco come farebbe?

«Ci sono alcuni principi. Ad esempio potrei dire che avere la palla è un vantaggio. In teoria. Possiamo definirlo il primo principio. Perché chi ha la palla ha più colpi a disposizio­ne. Ma, attenzio

ne: questo principio va enunciato con un corollario. È valido a patto che si sia in grado di sfruttare questi colpi a disposizio­ne. Perché se io ho dieci giocate e l'altro cinque, ma lui fa gol, allora qualcosa non funziona altrove, non nel principio. Il secondo principio è quello a cui accennavam­o prima: un allenatore deve portare chi ha talento e qualità a esprimerli nel miglior modo possibile. Vince chi ha più talento: chi lo può esprimere al meglio conserverà in campo un vantaggio decisivo. Per far questo, però, serve una terza regola che è di natura, diciamo così, esistenzia­le. Se giochi al calcio e ti diverti, allora farai tutto meglio. Ovviamente non vale solo per il calcio. Se ti diverti farai bene anche quello che è necessario e non fa parte della godibilità delle scelte calcistich­e, ma determinan­te nella loro costruzion­e. E cioè l'aspetto atletico, quello mentale e la disciplina, indispensa­bili affinché i tre principi indicati diventino gioco, gol e sostanza». Quanto la fanno sorridere, arrabbiare o quanto c'è di vero nelle contrappos­izioni ideologich­e che accompagna­no le scelte di un allenatore: Sarri contro Conte, sarrismo e la filosofia di Allegri? «Ognuno vede il calcio a modo suo: ma alla fine è sovrano il risultato. Che però è anche un trucco. Nasconde e mostra. Guardate il nostro 3-3 con il Verona, il pareggio è arrivato alla fine, in un modo spettacola­re e improvviso. Ma non solo il pari, anche la vittoria avremmo meritato. Di fronte a questo esito si fa fatica a dare etichette ai modi di gioco. Però non è vero nemmeno che tutto alla fine è affidato al caso o a un tiro che finisce sotto l'incrocio. Bisogna solo essere coerenti rispetto a certe scelte: e questo lo si può e lo si deve dire». E come definire questa coerenza? Con un vocabolo. Per un certo modo di giocare “Sarrismo” non va bene? «No, la coerenza nelle idee del calcio non si può esprimere in una o due parole. E come si fa? Dietro un’etichetta così facilmente venduta ci sono anni di lavoro, scelte, rinunce, esperiment­i tentati e non portati a compimento, modifiche e poi le caratteris­tiche dei calciatori che, verificate, impongono scelte ancora diverse. Fa ridere che sforzi di questo tipo diventino una parola o uno slogan».

Ci sono però allenatori che lasciano un segno. C'è qualcosa

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Roberto De Zerbi durante la partita contro il Verona: 3-3 Come nella gara precedente: 3-3 con l'Inter

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