DE ZERBI: «ETICHETTE? BASTA, VOGLIO VINCERE 1-0»
Oggi il Sassuolo annuncia il rinnovo del tecnico tra i più studiati in Europa «Gli ultimi 3-3 spettacolari? Non mi piace dare un colpo e riceverne un altro. Preferisco darne due e chiudere il match. Nel calcio troppi cliché»
De Zerbi, oggi l'annuncio del rinnovo con il Sassuolo: è pronto a continuare a convivere con le etichette che la identificano come l'allenatore sulla bocca di tutti i club, le cui squadre danno spettacolo, fanno e prendono molti gol (48 realizzati e 49 subiti, in questa stagione)? Un nuovo Zeman con la nuovissima fama del tecnico delle rimonte-show, come accaduto con Inter e Verona (entrambi 3-3)?
«Lo spettacolo piace e piace essere ammirati. E invece io non sono contento. O non del tutto. Il Sassuolo rimonta, ha spirito, non molla, costruisce occasioni. Eppure abbiamo subito in queste prime tre partite gol brutti da vedersi. E non solo per colpa dei difensori. Un gol è persino arrivato su rinvio del portiere per colpa di una posizione sbagliata di un attaccante. Non mi sento di assecondare l'idea che io non lavoro per difendere».
Ma i numeri?
«Per tre quarti della stagione, fino alla gara con l'Atalanta siamo stati la settima difesa. Nei due inizi, quello di agosto e ora, invece, non è stato così, ma quando la squadra ha continuità di gioco sa difendere».
Quindi, abbattiamo un clichè, lei, De Zerbi preferirebbe vincere 1-0 che 4-3, possiamo dirlo?
«Non mi piacciano i 3-3 o i 4-3. Non mi piace dare un pugno e riceverne un altro. Preferisco darne uno o due e finire il match. In questa fase la alternanza di calciatori dovuti alle gare ravvicinate e alle cinque sostituzioni non aiutata a mantenere gli assetti».
E in questa luce si prepara a gestire il futuro al Sassuolo?
«A metà maggio la società mi ha fatto capire che sarei rimasto e abbiamo cominciato a accordarci».
Roma, Fiorentina, persino Barcellona: in tanti la seguono. Dovranno aspettare a lungo? Che programma ha preteso dai suoi dirigenti? L'Europa? «Finiamo queste dieci gare. E chiudiamo la questione aritmetica della salvezza. Non sono vecchio, ma abbastanza esperto da capire che gloria e attenzioni finiscono in cantina in poco tempo. E quindi in base al finale di stagione diremo cosa ci si aspetta da questo gruppo. Carnevali (l'amministratore delegato, ndr) mi ha detto che Boga, Berardi e Locatelli resteranno. Queste gare sono utili a capire chi altri resterà e come sarà la prossima stagione».
Boga è ormai libero dai diritti che il Chelsea aveva in passato. Può diventare un top player? «Dieci gol, tutti su azione. In alcune gare è da 8 in pagella, in altre scompare. Deve trovare continuità, intensità. Se vuole crescere per se stesso e per la squadra. Dai suoi progressi e da quelli di altri potenziali grandissimi calciatori capiremo lo spessore del Sassuolo».
Da chi?
«Abbiamo tanta qualità. E dobbiamo essere in grado di utilizzarla con continuità. E mi aspetto questo scatto non solo da Boga: da Djuricic, che non è più un ragazzo, da Rogerio, da Bourabia, Locatelli, Muldur. E altri».
Si parla da tanto di De Zerbi in un grande club. O preferirebbe una carriera alla Gasperini, portando avanti un progetto come quello dell'Atalanta? In effetti il Sassuolo ha tutte le caratteristiche... «Inseguo una carriera di soddisfazioni personali. Allenare dove, come e quando voglio io. In libertà. Gasperini è tra gli allenatori più innovatori d'Europa, senza di lui l'Atalanta non sarebbe nemmeno lontana parente di quella che vediamo. Ha introdotto novità importanti ed è felice. Io sogno la libertà di Bielsa, un allenatore che ha deciso di fare quello che sentiva. È rimasto se stesso, ha cambiato il Cile, ha uno stadio che porta il suo nome. Ha perso in finale di Copa America ai rigori con il Brasile, quando guidava l'Argentina e ha vinto un'Olmpiade. E ha fatto quello che si sentiva. Sempre conservando la fedeltà ai suoi principi. Io invidio Bielsa nel modo più sano per la libertà che ha saputo darsi».
Bielsa si applica in modo estremo «I grandi allenatori studiano fino all'inverosimile: Allegri, Klopp, Guardiola. Ma Bielsa va oltre. Ha scelto sempre cosa fare e come».
Durante il lockdown ha tenuto una lezione ai tecnici della Cantera del Barcellona, attraverso il suo amico Guerrero. Barcellona e Sassuolo hanno, nelle grandi differenze, una cultura calcistica simile. Questo la porta ad avere certe relazioni?
«Anche Ulivieri mi ha invitato a
Coverciano per confrontarmi con alcuni colleghi, ma non mi sento affatto un professore, parlo di quello che accade nella mia bottega. Il calcio non si intende in un modo solo. E questo è un grande stimolo. Quando venni a Sassuolo incontrai il patron Giorgio Squinzi: non mi chiese altro che giocare al calcio. E questo ho provato a fare. I tecnici del Barcellona hanno voluto conoscere quali sono le difficoltà nel mio metodo d'allenamento, quali le caratteristiche».
A proposito di quell'anno, il 2018: affronterà mercoledì (domani, ndr) la Fiorentina di Iachini. Allenava il Sassuolo e aveva fatto bene, ma venne scelto De Zerbi. Adesso non è che ci risiamo? Il futuro di Iachini a Firenze dipende da queste partite: se lo batte gliene fa un'altra...
«Io e Iachini vogliamo vincere.
Sicuro. Senza pensare a chi andrà in difficoltà. Lo stimo tanto. Abbiamo idee calcistiche diverse. Da giovedì gli auguro molti successi. Ma io sto bene qui e non guardo a Firenze. L'ho sostituito in un posto dove aveva centrato un obiettivo. Siamo solo due allenatori con idee diverse».
Ogni artigiano ha segreti e regole. Quali sono le sue? Ha cambiato il suo 4-3-3, ad esempio in un più dinamico 4-2-3-1, forse per le caratteristiche di Caputo o per cosa altro?
«Non ho questo tipo di riserve sul modulo. Io quando provo a introdurre elementi di novità è perché cerco le soluzione ai bisogni che emergono dalle caratteristiche dei calciatori. Non mi interessa difendere a tutti i costi l'idea di una difesa a quattro, ho giocato spesso a tre. E nemmeno quella di un centrocampo a tre, con un vertice basso. No. Il calcio è determinato dalle giocate di qualità. E il risultato sposta tutto. Certo, ogni allenatore ha un'idea di calcio alla quale prova a restare fedele, si parte da questo».
«A maggio mi hanno fatto capire che avremmo rinnovato Mi hanno assicurato un progetto Europa? Carnevali ha detto che Locatelli, Boga e Berardi resteranno Il futuro in 10 gare»
«Il mio modello è Bielsa: allenatore libero. Fa quello che si sente di fare. Idea geniale? Emre Can a destra nella difesa a 3 contro l’Atletico, firmata Allegri.Gasp sa fare la differenza»
E se dovesse spiegare quali sono le sue idee di gioco come farebbe?
«Ci sono alcuni principi. Ad esempio potrei dire che avere la palla è un vantaggio. In teoria. Possiamo definirlo il primo principio. Perché chi ha la palla ha più colpi a disposizione. Ma, attenzio
ne: questo principio va enunciato con un corollario. È valido a patto che si sia in grado di sfruttare questi colpi a disposizione. Perché se io ho dieci giocate e l'altro cinque, ma lui fa gol, allora qualcosa non funziona altrove, non nel principio. Il secondo principio è quello a cui accennavamo prima: un allenatore deve portare chi ha talento e qualità a esprimerli nel miglior modo possibile. Vince chi ha più talento: chi lo può esprimere al meglio conserverà in campo un vantaggio decisivo. Per far questo, però, serve una terza regola che è di natura, diciamo così, esistenziale. Se giochi al calcio e ti diverti, allora farai tutto meglio. Ovviamente non vale solo per il calcio. Se ti diverti farai bene anche quello che è necessario e non fa parte della godibilità delle scelte calcistiche, ma determinante nella loro costruzione. E cioè l'aspetto atletico, quello mentale e la disciplina, indispensabili affinché i tre principi indicati diventino gioco, gol e sostanza». Quanto la fanno sorridere, arrabbiare o quanto c'è di vero nelle contrapposizioni ideologiche che accompagnano le scelte di un allenatore: Sarri contro Conte, sarrismo e la filosofia di Allegri? «Ognuno vede il calcio a modo suo: ma alla fine è sovrano il risultato. Che però è anche un trucco. Nasconde e mostra. Guardate il nostro 3-3 con il Verona, il pareggio è arrivato alla fine, in un modo spettacolare e improvviso. Ma non solo il pari, anche la vittoria avremmo meritato. Di fronte a questo esito si fa fatica a dare etichette ai modi di gioco. Però non è vero nemmeno che tutto alla fine è affidato al caso o a un tiro che finisce sotto l'incrocio. Bisogna solo essere coerenti rispetto a certe scelte: e questo lo si può e lo si deve dire». E come definire questa coerenza? Con un vocabolo. Per un certo modo di giocare “Sarrismo” non va bene? «No, la coerenza nelle idee del calcio non si può esprimere in una o due parole. E come si fa? Dietro un’etichetta così facilmente venduta ci sono anni di lavoro, scelte, rinunce, esperimenti tentati e non portati a compimento, modifiche e poi le caratteristiche dei calciatori che, verificate, impongono scelte ancora diverse. Fa ridere che sforzi di questo tipo diventino una parola o uno slogan».
Ci sono però allenatori che lasciano un segno. C'è qualcosa