Zapata, meglio non incontrarlo 73 gol dopo è sempre un rimpianto
Benitez e Bigon lo vollero azzurro nel 2013, ma lui si sentiva inutile «Napoli però resta speciale»
un’altra) ma sufficiente per insistere.
ADDIO. E invece Zapata avverte la dura esistenza del “reietto”, quell’emarginazione soffocante che nel 2015 scopre in un’estate torrida, vissuta da separato a casa, correndo «da solo e poi riscaldandomi con la squadra, perché non ero importante». Esce dal Napoli che Giuntoli e Sarri stanno costruendo e comincia un lungo viaggio, destinazione paradiso: due anni a Udine (diciannove reti complessive), uno alla Sampdoria (altri undici), prima di elevarsi a stellina dell’Atalanta dei miracoli, di sommare le ventotto reti della passata stagione con le quindici di quella attuale, di scoprire cosa sia l’ebbrezza d’uno status da top player che adesso viene valutato intorno ai sessanta milioni di euro o giù di lì.
DIMENTICATO. Zapata è un tormento, una “ferita” che il Napoli ha tentato di ricucire un anno fa, quando ci ha pensato, eccome: l’avevano dimenticato, un pomeriggio, in camera e s’accorsero che il colombiano era rimasto in albergo a riposare soltanto quando arrivarono al campo. Lo riscoprirono un paio di campionati dopo, per la precisione nel 2019 su espressa richiesta di Ancelotti, lasciando che Giuntoli - innanzitutto - s’interrogasse sulle imprevedibili variabili del calcio, un mistero senza fine ancor tutto da decifrare. Duvan Zapata è il “nemico carissimo” che impietosamente, nelle ultime due sfide, ci ha messo del suo, entrambe le volte con un tap-in di destro. Lo ha fatto anche al San Paolo, nel campionato scorso, dove riuscì a non esultare. «Perché quella città per me è speciale». E fa niente se il calcio a volte non ha pazienza. C'è un vissuto che resta.
Ancelotti e Giuntoli avevano tentato di riprenderlo. Adesso costa 60 milioni