La forza tranquilla di Buffon
Amolti, Gigi Buffon appare spregiudicato, eccessivo, contraddittorio, perfino presuntuoso. Un “ganassa” come dicono a Milano. Niente di più lontano dalla realtà: la sua condanna/caratteristica è di vivere con grande trasporto le passioni. Nei suoi confronti, inoltre, è ferocemente autocritico. Dal non farsi sconti, nascono le convinzioni che lo sorreggono. Per queste è ancora qui, a 42 anni già suonati da sei mesi e domani, se Maurizio Sarri lo schiererà contro il Torino, nel suo derby numero 17 (tanto Gigi non è scaramantico) potrebbe toccare la 648esima presenza in serie A, superando Paolo Maldini che ha agganciato a 647 il 18 dicembre 2019.
Lo spartiacque della sua carriera è stato l’anno sociale 2010-2011, uno dei due peggiori della storia della Juventus del terzo millennio. Gigi si era dovuto operare: asportazione di un ernia del disco lombo-sacrale. Il Mondiale in Sudafrica, per lui, era finito dopo il primo tempo con il Paraguay, il campionato neanche iniziato. Nei lunghi mesi lontano dal campo, con la Juventus tentata di confermare Storari, con alcune dichiarazioni dei dirigenti bianconeri a soffiare sull’idea dell’esilio, era stato tentato, effettivamente, di abbandonare la maglia bianconera. A fargli ritrovare l’equilibrio perduto, oltre che la fiducia ritrovata del club, anche i consigli dell’eterno Silvano Martina, procuratore a vita. Ma soprattutto, a sostenerlo, a spingerlo, a fargli credere alle sue possibilità, è stata la convinzione maturata in quei mesi difficili, non scalfita dall’infortunio e dalla lontananza. La esternò a pochi amici: «Sapete cosa mi dà forza? Guardo gli altri portieri, i miei colleghi considerati i migliori a livello internazionale e penso: se il livello è questo, allora io durerò ancora a lungo». Previsione azzeccata, loro sono pensionati, lui è ancora qui. Un anno dopo vinceva il primo di otto titoli consecutivi (sette con la Juventus e uno con il Psg), senza contare il resto. Questa fiducia gli ha fatto superare i momenti più duri, dentro e fuori dal campo. La manifestò, con la sua abituale sincerità, nell’autobiografia “Numero 1”: «Io sono diventato un grande portiere, ma sono convinto che, se non avessi avuto successo in questo ruolo, o nel calcio, penso che avrei potuto eccellere in qualsiasi sport». Presunzione? No. I presuntuosi non vincono i campionati, le coppe, i Mondiali. I presuntuosi dicono che sono i migliori, poi non acchiappano nulla.