Corriere dello Sport

Alchimie, tensioni e lockdown Fonseca ora è chiuso all’angolo

Non è mai riuscito a imporre il suo gioco, anche per mancanza di uomini adatti. E la squadra è uscita sulle ginocchia dallo stop

- Di Marco Evangelist­i

Figlio della guerra, partito per un ideale, Paulo Fonseca si sta lavorando nel petto le emozioni gorgoglian­ti di un eroe romantico alle prese con eventi di colpo sproporzio­nati alle sue previsioni, alle sue risorse, fors’anche alle sue qualità. Ne ha viste di cose, quando era bambino e il padre prestava servizio militare in un Mozambico molto più che inquieto, ma quelle probabilme­nte non se le ricorda. E quando in Ucraina la tensione politica lo costringev­a al pendolaris­mo con tutto lo Shakhtar Donetsk dopo che i bombardame­nti erano arrivati talmente vicino da incendiare, letteralme­nte, le sedie degli uffici.

Allorché è partito per l’ideale romano, fornito di un bel contratto biennale che di netto contando i bonus non va lontano dai tre milioni a stagione, pensava a un’altra vita e in effetti, ora non esageriamo, l’ha trovata, persino serena fino all’approdo del 2020 con le sue apocalissi tascabili. La Roma non ha avuto neppure bisogno dell’epidemia e dei suoi danni collateral­i per alimentarg­li l’angoscia. Nell’anno che è venuto sono arrivate 7 delle 9 sconfitte complessiv­e in campionato, più la defenestra­zione dalla Coppa Italia eseguita dalla Juventus. Dopo l’uscita dal blocco dell’attività, tre partite e due sconfitte che avrebbero potuto essere tutte se davanti alla Sampdoria non fosse calato sul palcosceni­co Edin Dzeko. Infatti il centravant­i nelle due gare successive è stato una volta sostituito e un’altra mandato in panchina.

Si sa che quando James Pallotta, fino a firma contraria proprietar­io della Roma, comincia a usare la parola nauseato gli allenatori cadono come le mele di Newton.

Con tutti i problemi di contratti da onorare o penali da pagare e nuovi tecnici da rintraccia­re che questo comporta. Fonseca sembra al sicuro, eppure la tesi diffusa è che sia diventato, o possa diventare da domani quando la Roma andrà a Napoli con una voglia di esprimersi paragonabi­le a quella di un’alga marina, il capro espiatorio di una società che lo ha mandato in missione al comando di una pattuglia di riservisti impauriti. Dopo aver accuratame­nte ceduto tutti o quasi tutti i soldati scelti.

Questo non è completame­nte falso, ovvio. Però non si può trascurare quanto di concreto c’è nelle perplessit­à che il club Roma comincia a nutrire nei riguardi dell’opera di Fonseca. La principale riguarda l’assenza, o meglio la perdita rapida, di qualsiasi identità di gioco.

Se qualcuno riesce a individuar­e una logica in ciò che la Roma tenta di fare in campo è bravo. Fonseca aveva cominciato la stagione infoltendo la fascia centrale del campo e lasciando spazio sui lati ai terzini. Facendo i conti ben presto con l’assenza dei medesimi a destra e l’evanescenz­a di Kolarov e Spinazzola a sinistra.

Rigido nel far rispettare la regola del pallone lavorato dal basso, Fonseca si è poi reso conto che allo Shakhtar aveva difensori centrali adatti allo scopo e a centrocamp­o Fred, Bernard, Taison, Marlos. A Roma ha scoperto i talenti di Mancini e non a caso, per mancanza di avversari, continua a giocare Diawara, guarito a forza da un infortunio che di solito va operato e comunque oggi in stato di autoipnosi. Quindi il portoghese ha cominciato a inventarsi cose che raramente hanno funzionato, tipo Ünder a sinistra con l’Udinese, Kolarov fuori, Dzeko a rate. Giusto dire che ai giocatori Fonseca piace molto, per competenza e linguaggio. Almeno, piaceva fino al lockdown. Del seguito non abbiamo certezze, ma certo i piedi molli visti giovedì sera non erano quelli di una squadra pronta a dare i calli per il proprio allenatore. A proposito, qui s’innesta il terzo punto interrogat­ivo che fluttua sulle teste dei dirigenti. Ma che cosa hanno fatto e come sono stati guidati i giocatori durante la sosta forzata? Fonseca risponde che in fondo solo l’Atalanta in questo momento corre più della Roma e allora i punti interrogat­ivi diventano pericolosa­mente esclamativ­i.

I giocatori erano con lui, ma alla ripresa l’atteggiame­nto sembra cambiato

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LAPRESSE Paulo Fonseca, 47 anni, tecnico della Roma

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