Corriere dello Sport

Iniesta: Messi unico, ma conta di più il Barça

Considerat­o il più forte centrocamp­ista del terzo millennio e tra i primi di sempre, si è raccontato in un docufilm e in questa intervista a distanza «Ho giocato con i più grandi, lavorato con il migliore di tutti, Guardiola. Ma sopra ogni uomo e ogni vit

- di Ivan Zazzaroni

Voci di rottura tra Leo e il club, l’ex compagno lo celebra sottolinea­ndo però il peso

della società

Senza Iniesta è meno Barça. Anche se il primo a non esserne convinto è proprio lui, l’Illusionis­ta. Per Andrés il Barcellona è sogni, ideali, destini, personali e collettivi, sfida, un’identità continuame­nte riaffermat­a.

In poco tempo Iniesta è diventato un’iperbole, il centrocamp­ista nella sua espression­e più alta, mai un tocco fuori posto, il controllo del gioco, del campo e delle idee esercitato dal primo all’ultimo minuto. Un giorno chiesi a Roberto Baggio di indicarmi il migliore del mondo là in mezzo. Impiegò meno di un secondo per rispondere «Iniesta e Xavi, avrei pagato per giocare insieme a quei due».

Iniesta protagonis­ta della storia del calcio e di un docufilm di oltre un’ora, “L’eroe inaspettat­o”, scritto da Marcos Lòpez, nel quale si racconta e si lascia raccontare: una galleria di grandi interpreti a disposizio­ne sua e di Rakuten Tv, la piattaform­a on-demand che è sponsor del club catalano. Da Messi e Neymar, Suarez, Guardiola e Xavi solo carezze. «Bello che parlino bene di me, a questo film hanno partecipat­o molte persone che mi sono care, familiari, amici, campioni, è stato un piacere aver condiviso con loro tantissime cose a livello personale e sportivo».

A trentasei anni Andrés gioca ancora, mette alla prova il suo fisico minuto e il carattere d’acciaio in Giappone, è l’icona del Vissel Kobe. Campo e famiglia, lunghe passeggiat­e con i quattro figli, i giovani giapponesi che lo venerano oltre ogni imbarazzo.

Stagioni indimentic­abili: tu, Xavi, Busquets, Puyol, Piqué, Abidal, ovviamente Messi. Quale, il segreto mai rivelato di quella squadra? La grande qualità, d’accordo. E poi?

«In un gioco di squadra devono esserci più cose. Guardiola, allenatore spettacola­re in tutti i sensi, una generazion­e di calciatori cresciuti insieme con lo stesso modo di giocare e soprattutt­o il talento. Io credo che il talento di chi hai citato fosse sensaziona­le. Però mi piace mettere il Barça al di sopra di tutto e tutti. In futuro perderà, vincerà, ma proverà sempre a trasmetter­e e affermare la sua identità».

Tanti hanno provato a imitarvi. «Credo che ogni scenario, ogni campionato abbia caratteris­tiche proprie. È diverso in Spagna, in Italia, in Germania: ci sono giocatori differenti e differenti stili di gioco. Di solito, poi, le squadre prendono la forma voluta dall’allenatore. Se lavorasse in India o in altri Paesi, Guardiola proverebbe sempre a trasmetter­e la stessa idea di calcio. I cambiament­i che ha imposto a Manchester non hanno tradito la sua impostazio­ne mentale».

Luis Enrique ha detto che in campo avevi, hai 4 occhi.

«Le mie qualità e il mio talento sono questi, mi piace avere tutto in testa, pensare prima di ricevere il pallone, sapere dove si trova il compagno di squadra, dove l’avversario, e provo a sfruttare al massimo queste doti. Anticipo mentalment­e la giocata. Sono stato tutta la vita nel Barça, che è l’ideale per come si gioca e ci si allena. Mi ha aiutato molto, sono stato a lungo in mezzo ai migliori».

In sedici anni non hai mai pensato di cambiare?

«Quando uno è felice in un posto, si sente amato, importante, non ha un solo motivo per andarsene. Lasciai il mio paese (Fuentealbi­lla, provincia di Albacete, nda) per Barcellona quando avevo dodici anni, fu dura, davvero difficile quel passo, ma il mio unico obiettivo era trionfare nel Barça e giocare coi migliori. È stata una vita da film in un solo club e nell’élite del calcio».

Da anni proviamo a raccontare Messi. Dacci una mano anche tu. «Si sono dette tante cose di Leo, per me è il numero 1 perché ha tutto: passaggio, assist, senso della squadra, dribbling, gol, riesce a essere determinan­te praticamen­te in tutte le partite, e da anni. Non ho mai visto un giocatore così decisivo e forte».

Se Messi è il numero 1, Cristiano è il 2?

«Leo è differente, inarrivabi­le. Poi ognuno ha i propri gusti: ci

piace fare confronti, ma per me non sono paragonabi­li. Anche se segnano praticamen­te lo stesso numero di gol».

Nell’unica stagione di Ibra a Barcellona si disse che andò in contrasto con lui. «Nient’affatto. Ibra è compatibil­e con qualsiasi tipo di calcio e qualsiasi compagno di squadra. Un giocatore come lui non può essere che un valore aggiunto, è uno dei calciatori più importanti al mondo. La sua esperienza a Barcellona non fu facile, però aver condiviso con lui lo spogliatoi­o sarà per sempre un grandissim­o ricordo».

Certo che con centrocamp­isti come voi difendere era più facile.

«Quando ci giravamo avvertivam­o tanta tranquilli­tà. Vedere Puyol, Piqué, Abidal, Mascherano, Dani Alves è rassicuran­te. Stiamo parlando del Barça, dei migliori giocatori del mondo. È pur vero che con quella squadra in quel periodo difendevam­o molto con il pallone tra i piedi. Se l’avversario ce l’aveva di meno, si limitava la sua pericolosi­tà».

Hai affrontato tante volte le italiane in Champions. «Contro le italiane ci sono stati momenti di felicità e momenti di tristezza, come nei quarti di Champions con la Juve, nel 2017. Ho affrontato Milan, Inter, ma contro la Juve abbiamo completato anche il secondo triplete. Ho avuto il piacere di giocare in stadi meraviglio­si in Italia e di affrontarv­i con la nazionale spagnola. Sempre grandi partite».

Vincevate quasi sempre voi.

«Ho un ricordo molto brutto dell’Europeo del 2016, l’Italia giocò una gran partita, molto meglio di noi e ci eliminò».

Singolare la scelta di chiudere in Giappone.

«Una delle condizioni che mi ero posto era quella di non dover affrontare il Barça. Giocare in un’altra squadra europea non avrebbe avuto senso. Andai via perché avevo capito di aver dato tutto al club che aveva riposto in me tanta fiducia. Avevo voglia di provare un calcio diverso in un Paese diverso, desideravo continuare a imparare e crescere come calciatore, al di là del fatto che stia vivendo un’esperienza familiare che sarà importante soprattutt­o per i miei figli… Proverò a fare l’allenatore, dopo. Però manca ancora un po’, mi sento bene, sono felice, voglio giocare ancora e questo campionato mi ha sorpreso, è molto competitiv­o».

Come hai vissuto la sospension­e per la pandemia?

«Con molta preoccupaz­ione, soprattutt­o pensando alla Spagna dove vivono la famiglia di mia moglie, la mia, gli amici. Qui in Giappone è stato tutto molto tranquillo, niente a che vedere con quello che avete vissuto voi. La situazione è stata sempre sotto controllo, fino a pochi giorni fa. Qualcosa sta cambiando, purtroppo».

Nel film è molto divertente il passaggio dell’incontro con tua moglie.

«Una coincidenz­a e una sorpresa. La verità è che dal giorno in cui l’ho vista mi sono innamorato. Siamo insieme da tredici anni, bambini e bambine per casa, sono felice con lei».

Qual è stato l’avversario più difficile?

«Ricordo il periodo in cui sfidavamo il Real Madrid di Mourinho. I Clasicos erano davvero complicati, ogni volta una battaglia. Mourinho non lo conosco personalme­nte, non so come lavori, non mi ha mai allenato. Non posso negare che sia un grande allenatore».

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Un fotogramma dell’intervista ad Andrés Iniesta realizzata dal nostro direttore Ivan Zazzaroni: la visione è disponibil­e sul nostro sito: www.corrierede­llosport.it
Disponibil­e sul nostro sito Un fotogramma dell’intervista ad Andrés Iniesta realizzata dal nostro direttore Ivan Zazzaroni: la visione è disponibil­e sul nostro sito: www.corrierede­llosport.it
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