Corriere dello Sport

Addio a Magnini, accusò il Real

Ripeteva: «Erano molto più forti, ma quel giorno rubarono la Coppa»

- di Alberto Polverosi

Lo ripeteva di continuo ai tifosi che entravano nel suo ristorante, in viale Don Minzoni, un chilometro o poco più dallo stadio che alla sua epoca si chiamava Campo di Marte. «Non era rigore. Avevo steso Mateos, è vero, ma un metro e mezzo fuori area. Può darsi che il Real Madrid fosse più forte di noi, ma in quella partita non lo dimostrò. La Coppa ce la rubarono».

Ardico Magnini è morto ieri, all’età di 91 anni. L’immagine di quel rigore che il 30 maggio 1957 condannò la Fiorentina alla sconfitta nella prima finale di Coppa dei Campioni di una squadra italiana l’ha accompagna­to per tutta la vita. Mezzo secolo dopo, era sempre arrabbiato con l’arbitro olandese Horn. Quel rigore lo realizzò Alfredo Di Stefano a 20 minuti dalla fine, poi raddoppiò Gento.

Magnini era il terzino destro della Fiorentina del primo scudetto. Era nato a Pistoia, suo padre faceva il ciabattino ed amava l’atletica, passione trasmessa al figlio che presto però cambiò sport e nel calcio cominciò subito a farsi valere. Lo voleva anche il Bologna, nel bel libro di Stefano Prizio e Leonardo Signoria, «I campioni che hanno fatto grande la Fiorentina», si racconta la storia del breve incontro di Renato Dall’Ara a casa Magnini.

Il presidente del Bologna si presentò con un bel gruzzolo di soldi, ma Ardico si era già promesso alla Fiorentina. Fu suo padre a chiudere la discussion­e: «Mio figlio giocherà dove gli piace». Così divenne viola nel ‘50 quando l’allenatore era Ferrero che lo trasformò da mezz’ala a terzino, a Firenze rimase otto anni giocando 225 partite con 8 gol. Sotto la guida di Fulvio Bernardini toccò il punto più alto del suo rendimento, del resto come tutti i suoi compagni, nell’anno dello scudetto. Giocò poi due stagioni nel Genoa e chiuse la carriera nel ‘61 a Prato. In Nazionale è rimasto quattro anni, dal ‘53 al ‘57, venti presenze in tutto in un periodo non troppo fortunato per gli azzurri.

Provò ad allenare la squadra della sua città, la Pistoiese, ma non era il suo lavoro. Troppo istintivo, anche da giocatore, per un mestiere di pazienza come quello dell’allenatore. Per i fiorentini era il «leone dello scudetto», aveva una forza incredibil­e. Gli piacevano le acrobazie tantoché spesso si staccava di qualche metro dall’ala che doveva marcare per poter intervenir­e poi in volo sul lancio. Si racconta che una volta della sua passione acrobatica ne fece le spese Amleto Frignani, ala del Milan all’inizio degli anni Cinquanta, a cui Magnini portò via molari e incisivi con una delle sue entrate.

«Nonostante la finale persa in quel modo, accettammo l’invito del Real Madrid per il banchetto dopo la partita. A un tavolo incontrai l’arbitro Horn. Gli dissi solo “compliment­i”. Lui divenne rosso in volto. Lo avevano premiato con un cucchiaio d’argento, mi guardò e sforzandos­i di sorridere prese il cucchiaio in mano e me lo regalò: “Questo lo meriti più di me”».

La Fiorentina giocherà domani a Parma col lutto al braccio, onori la memoria di un signore che con quella maglia ha fatto la sua storia.

 ??  ?? Ardico Magnini, scomparso all’età di 91 anni, pistoiese, alla Fiorentina dal 1950 al 1958, campione d’Italia con la Viola
Ardico Magnini, scomparso all’età di 91 anni, pistoiese, alla Fiorentina dal 1950 al 1958, campione d’Italia con la Viola

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