Corriere dello Sport

LA STELLA DEI DESIDERI

Dopo 38 anni la Stella Azzurra torna in A2 per lanciare i giovani. E monetizzar­e Il coach D’Arcangeli: «Siamo un brand conosciuto, regaliamo ai nostri ragazzi un palcosceni­co per potersi mettere in mostra»

- di Fabrizio Fabbri

Quando nel 1982 la Stella Azzurra perse 98-87 lo spareggio salvezza per conservare la A2 contro Vigevano, Germano D'Arcangeli era un adolescent­e di 12 anni. Non poteva sapere come la storia del glorioso club capitolino, che rilevando da Roseto il titolo tornerà a giocare nella seconda serie nazionale, un giorno sarebbe passata nella sue mani come coach e dirigente.

D'Arcangeli, lei ha fatto rinascere un club che era scomparso nel nulla. Cosa ricorda di quel 1982? «Che ero così scarso a calcio che i miei genitori mi convinsero a provare con la pallacanes­tro. Avevo un cugino che studiava al Collegio De Merode. Così mi iscrissero a uno dei corsi per principian­ti. Poi in quella scuola ci sono entrato da studente qualche anno più tardi».

Nasce in quel momento il colpo di fulmine con la Stella Azzurra? «Nei corridoi del De Merode, nel campo all'aperto del quadriport­ico, nella palestrina si respirava aria di Stella Azzurra. Era quasi una religione. Mia madre veniva a parlare con i professori per sapere del mio rendimento e lo faceva di fronte con una foto di Costanzo, leggendari­o giocatore e poi allenatore del club, che consegnava un pallone da basket a Papa Pio XII».

E proprio nella palestrina decise di fare il coach?

«Non ho scelto io ma Altero Felici, un di più grandi insegnati di fondamenta­li della storia del basket italiano. Mi disse che giocare non faceva per me quindi era meglio passare dall'altra parte della barricata. Più o meno come accadde a Ettore Messina con Zorzi alla Reyer Venezia».

Poi nel 1996 pensò di rendere reale il suo sogno: far rinascere la Stella. Missione compiuta? «Direi di sì, anche se la società di oggi è molto diversa rispetto a quella di allora. Volevamo come prima cosa avere una casa per porre le fondamenta del nuovo progetto e lasciare al De Merode la storia per proiettarc­i nel futuro. Ci siamo riusciti. Oggi la nostra struttura di Via Flaminia è all'avanguardi­a con due campi, sala pesi, struttura medica e per la fisioterpi­a, una foresteria che accoglie i giocatori, piscina e club house".

Pronti per la A2 quindi?

«Sì, e quando inizieremo il riscaldame­nto della prima gara sarà una grande emozione. Ne parlavo spesso con Altero Felici. Mi diceva: il tuo compito sarà quello di fare iniziare la ruota con una squadra che porti di nuovo la Stella Azzurra in campo nero. Ho mantenuto la promessa».

Tutto bellissimo. Ma oggi la Stella Azzurra è diventata una grande azienda. Pesca giocatori in giro per il mondo, li forma e poi li lascia andare per poi monetizzar­e. E' offensivo dirglielo?

«No. La Stella Azzurra grazie agli sforzi di tanti è oggi un brand conosciuto, vincente, che tanti vogliono replicare. Abbiamo voluto con forza la serie A2 per regalare ai nostri attori, i ragazzi, un palcosceni­co degno che li porti a essere visti da tanti spettatori. Hanno una possibilit­à. La devono sfruttare. Qui gioca chi merita. Non importa che sia italiano, camerunens­e, slavo, americano o iraniano. Lavoriamo per costruire giocatori e ne raccogliam­o i frutti».

Non sarà rischioso fare la A2 con una specie di squadra da college, viste le età?

«Non possiamo permetterc­i stipendi per campioni e non avrebbe senso inserirli in un contesto così particolar­e. La rosa sarà quella dei ragazzi cresciuti in questi anni con noi su cui innesterem­o due americani».

Rookie o già esperti?

«Costruiamo atleti e ne raccogliam­o i frutti. La nazionalit­à per noi non conta»

«Rookie senza dubbio, che dovranno adeguarsi a una stagione con molto bastone e un po’ di carota. A loro chiederò, uno da esterno e l'altro sotto canestro, di darci punti».

Ce la farete? «Sopravvive­remo come abbiamo sempre fatto. Con la forza delle nostre idee e l'entusiasmo e le qualità dei ragazzi».

Sieteunasq­uadradiRom­amagiocher­ete le partite interne a Veroli. E' un paradosso?

«Sì, ma non è certo colpa nostra. E' frustrante dover lasciare la nostra città, però non c'è altra soluzione. Da anni leggo del futuro del Palazzetto, che per noi sarebbe perfetto. Mi sembra una commedia. L'impianto di Viale Tiziano è un bene prezioso. Sarebbe bello diventasse il nostro campo di gioco».

 ??  ?? Lo stellino Dut Mabor, 18enne sudanese alto 2,18
Lo stellino Dut Mabor, 18enne sudanese alto 2,18

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy