Il calcio si è inflitto un trauma
Le parole sono importanti. Per spiegare il fallo di mano, fino a un campionato fa, le circolari dell’Aia se ne facevano bastare 68 racchiuse in cinque righe. Si trattava di un atto intenzionale di un calciatore che con la mano o il braccio venisse a contatto con il pallone.
Le parole sono importanti. Per spiegare il fallo di mano, fino a un campionato fa, le circolari dell’Associazione italiana arbitri se ne facevano bastare 68 racchiuse in cinque righe. Si trattava di un atto intenzionale di un calciatore che con la mano o il braccio venisse a contatto con il pallone. Il potere della semplicità.
L’estate scorsa il calcio ha tirato una riga e ha deciso di riscrivere. Le parole nel nuovo testo sono diventate 257. Se per definire una stessa situazione abbiamo avuto bisogno di una verbosità tripla, perché meravigliarsi adesso della stessa proporzione nell’aumento dei rigori? I cinquanta e passa falli di mano che hanno spinto gli arbitri a fischiare, sono figli del gigantesco malinteso che pretende si possano fissare criteri di oggettività per un gesto nel quale è decisiva la volontarietà. Per inseguire questa utopia, nelle aree di rigore il calcio ha inflitto a se stesso un trauma. Ha scoperto che l’applicazione di una regola non era più sinonimo di giustizia. Ha ingoiato con un episodio dietro l’altro una presunta oggettività a volte grottesca, raggiungendo il risultato di una perdita di credibilità per gli arbitri, per la Var, per il sistema.
Abbiamo scomodato inutilmente persino Leonardo da Vinci con il suo disegno dell’Uomo Vitruviano. Abbiamo portato una faccenda che i bambini al campetto risolvono in modo elementare dentro un perimetro filosofico. Il mondo arbitrale e dintorni si è diviso persino per stabilire se la riscrittura fosse il sinonimo di una modifica. Il campionato è iniziato con un fallo di mani fischiato a Zielinski a Firenze in un mucchio di corpi. Ci siamo guardati ancora un po’ ingenui, inesperti, un filo rassegnati, e ci siamo detti: saranno le nuove regole. Era invece il primo degli episodi borderline della stagione. A conferma del fatto che le interpretazioni non si cancellano per decreto.
Le cosiddette nuove regole a volte sono tornate le vecchie, come per De Ligt nel derby di Torino, per Cuadrado a metà campo a Bergamo (un mani dal quale è nato uno dei gol della Juventus) o per tutti gli altri casi nei quali la tolleranza è stata giudicata un errore. Rizzoli è intervenuto per spiegare, più volte il calcio italiano dalle sue lezioni è uscito confuso. La categoria si distingue per la capacità di lasciarsi sempre un buon margine di autoassoluzione.
L’unico criterio oggettivo per il fallo di mani, il più estremo, sarebbe il fischio a ogni tocco. Un rischio che i vertici arbitrali internazionali stanno esaminando. Farebbe nascere una serie di tiratori scelti, allenati a far sbattere la palla sulla mano del difensore, come Maradona contro lo Stoccarda nel 1989, Baggio contro il Cile nel 1998. Nell’elencare i casi in cui il mani è fallo, la stessa regola riscritta prevede però un passaggio che dice “di solito”. Come ad ammettere che si può cercare l’uniformità anche conservando la discrezionalità.