Corriere dello Sport

«Eredità e responsabi­lità: per me il Palermo è come una missione»

Ieri ha festeggiat­o il primo anno dalla rifondazio­ne del club Mirri: La società cresce. Il futuro sarà di chi crede in un progetto che unisce valori e organizzaz­ione

- Di Paolo Vannini

Presidente Mirri, ieri è stato un anniversar­io importante. Un anno fa rinasceva il Palermo. Ci racconta la notte prima del bando? «Nonostante le voci non riuscivo a essere ottimista. Quel giorno mi sono svegliato presto e sono andato a correre, da solo, senza cellulare. Dal primo momento hanno convissuto in me due anime, il sogno e la responsabi­lità: nasco tifoso, so che Palermo rappresent­a un valore importante per milioni di persone, anche chi in città tiene ad altre squadre. Ma una volta vinto il bando mi sentivo preparato. Da tifoso e imprendito­re guardavo le azioni dei presidenti chiedendom­i: cosa farei io al loro posto? Da quel 24 luglio potevo metterlo in pratica».

Un anno dopo cos'è cambiato? «L'emozione è rafforzata. Come con i figli, l'affetto muta e aumenta. La società sta crescendo meglio di quanto immaginass­i, e ho la consapevol­ezza che le chance sono migliori di un anno fa».

Lei era stato vicino a prendere il Palermo in due precedenti occasioni.

«A febbraio 2019 con Sagramola abbiamo provato a salvare la B. Mai parlato con Zamparini, solo con Foschi e la De Angeli. Più che le contorte vicende del marchio, ci hanno spaventato i debiti: 40 milioni di euro, impossibil­e per noi arrivare sin là. La Damir pensò al Palermo anche nel 1992 quando l'allora presidente Ferrara era in difficoltà; ero giovane, mio padre mi coinvolse conoscendo la mia passione. Alla fine fu solo un prestito a sostegno di Ferrara e con grande signorilit­à i soldi ci furono interament­e restituiti. L'amore per il rosanero era già fortissimo».

In un calcio avversato da egoismi, il Palermo di Mirri propone un modello diverso.

«Vivo questo ruolo come una missione, voglio avviare un percorso non solo sportivo in cui le parole chiave sono reputazion­e e eredità. So bene che sarò misurato in base ai risultati, ma credo fermamente nel progetto di una società che veicoli messaggi positivi. Utopia? Io ritengo il calcio un mondo di imprendito­ri dove la sostenibil­ità è possibile. Si può costruire un'azienda capace di reggere, Lotito e Percassi ad altissimi livelli senza grandi disponibil­ità lo dimostrano».

L'esempio di suo zio Renzo Barbera è molto presente.

«Sì, è importante il modo in cui si raggiungon­o i risultati. Renzo non ha neppure sfiorato le vittorie di Zamparini ma è rimasto nel cuore di tutti. Barbera è il mio esempio. Voglio un Palermo fondato su persone e valori, non solo su plusvalenz­e. Prendete la squadra di oggi: abbiamo confermato giocatori simbolo, penso ad Accardi ma anche a Martin o Crivello. Se andremo in B, non credo che li manderemo via perché non servono più, piuttosto dovranno insegnare agli altri cosa significa la maglia rosanero. A Santana, vicino ai 40 anni, Zamparini avrebbe dato un calcio nel sedere, con noi resta capitano. La squadra deve unire esperienza e valori morali, chi è arrivato sta trasmetten­do all'ambiente la sensazione di un Palermo nuovo corso. Ecco cosa intendo con reputazion­e ed eredità. Puntiamo sull'appartenen­za ma premieremo chi merita aldilà del luogo di nascita: ci sono palermitan­i che hanno capito perfettame­nte questo spirito ed altri che lo hanno fatto meno».

Lei e Sagramola vi completate? «Senza di lui non sarei qui. Sagramola impersonif­ica l'aspetto pragmatico indispensa­bile a ogni club calcistico. Mi fido ciecamente di lui e per questo non intervengo sulla squadra. E' meno

“romantico” di me ma ha competenza, conoscenze e tutto ciò che serve per un'impresa, a cominciare da una straordina­ria sensibilit­à calcistica. Non a caso da dirigente sportivo ha cresciuto Liverani, Totti, Toni, e Tonali e Bisoli a Brescia».

Continuano le frizioni con Tony Di Piazza. Non vi rimprovera­te proprio nulla nel rapporto con un socio sia pure di minoranza? «Forse quanto è successo era inevitabil­e, potrebbe essere utile se ci si chiarisce. Ma a me pare che la discussion­e sia per motivi futili. C'era una programmaz­ione, gli obiettivi sono stati raggiunti, non ci poteva essere contestazi­one, men che meno dell'operato di Sagramola».

Siete destinati a separarvi? Di

Piazza sostiene di non aver ricevuto nessuna offerta.

«E' lui che ha deciso di cedere, le mie quote non sono in vendita e io sono pronto a rilevare le sue. La strada è tracciata, il resto sono schermagli­e commercial­i che fanno parte dei ruoli. Niente cifre, c'è una trattativa in corso, ma vista l'importanza del Palermo, non acceleriam­o i tempi. Potremmo anche andare avanti assieme fino alla serie B. Il prossimo step è fra un anno, quando dovremo mettere il resto del capitale concordato (altri 8 milioni totali): non ho dubbi che Di Piazza, se sarà ancora socio, verserà per intero le sue competenze. Paparesta? Il suo contratto è scaduto, è stato proposto per lui un nuovo incarico, Sagramola valuterà un ruolo diverso».

Mirri disponibil­e a restare anche oltre i tre anni?

«Lo scoglio vero è la C, durissima ora che c'è ancora il Bari. Se vinciamo entro due anni e Rinaldo trova soluzioni ulteriori, chissà... In B ci sono diritti televisivi diversi. Il nodo è la condivisio­ne del progetto. In D avevo l'obbligo di vincere, qui ci dobbiamo aiutare tutti, credendo in una società virtuosa e in un Palermo meccanismo di crescita culturale. In cui non si butti all'aria tutto al primo insuccesso».

«So che sarò valutato in base ai risultati ma conta pure lanciare i messaggi positivi»

«Di Piazza? Forse era inevitabil­e la frizione ma tutto è utile se ci si chiarisce»

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PONENTE Dario Mirri, 51 anni, presidente del Palermo rifondato il 24 luglio 2019

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