L’unica certezza è l’incertezza
Di che si preoccupa Gabriele Gravina? Non sappiamo in che modo ripartirà il campionato? Perché, sappiamo forse in che modo ripartiranno la scuola e il lavoro autunnale? L’unico punto fermo è l’incertezza. Il premier Conte si presenterà oggi in Parlamento per annunciare una proroga fino al 31 ottobre dello stato di emergenza, nonostante in molti, e tra questi autorevoli costituzionalisti, non ne vedano i presupposti.
Di che si preoccupa Gabriele Gravina? Non sappiamo in che modo ripartirà il campionato? Perché, sappiamo forse in che modo ripartiranno la scuola e il lavoro autunnale? L’unico punto fermo è l’incertezza. Il premier Conte si presenterà oggi in Parlamento per annunciare una proroga fino al 31 ottobre dello stato di emergenza, nonostante in molti, e tra questi autorevoli costituzionalisti, non ne vedano i presupposti. Ma una democrazia fragile e inefficiente stipula con l’emergenza un tacito patto. Per blindare equilibri di governo altrimenti traballanti. Per giustificare ritardi e deficit di efficienza nei pubblici servizi. L’emergenza è il grande ombrello di questa strana estate italiana, sotto il quale cercano riparo molti indecisi decisori pubblici.
Il calcio, come è già accaduto, aspetta. Il sinedrio di scienziati del comitato tecnico, a cui è stato richiesto di pronunciarsi su una modifica del protocollo sanitario, ha incombenze più urgenti. E rinvia la decisione. Nel frattempo i calciatori si sottopongono ogni quattro giorni a un tampone ed entrano negli stadi deserti a orari sfalsati per evitare assembramenti. Le società professionistiche non possono vendere gli abbonamenti, perché nessuno li comprerebbe, senza sapere se e in che modo gli spalti saranno riaperti. Quelle dilettantistiche restano in un limbo che ha sempre più il volto di un inferno. Ma la movida estiva impazza, con spettacoli all’aperto, rassegne letterarie e discoteche notturne, dove il distanziamento è misurato dalle goccioline di sudore tra i corpi danzanti.
Di che si preoccupa il presidente della Figc? Il ministro dello Sport Vincenzo Spadafora ha detto che a settembre il pubblico tornerà. Ma, com’è costume di questo Paese, se ne discuterà dopo Ferragosto. Tanto ci pensa la Germania a studiare protocolli per mettere alle spalle la pandemia. Che per noi sta diventando invece un’occasione unica. Per dividere sussidi pubblici reperiti in debito. Per acquistare, come ha fatto la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, due milioni di sedie con le rotelle utili ad avvicinarsi, mentre l’imperativo dei tempi è quello di tenere un distanziamento rigido. Noi all’emergenza non rinunceremo per nessuna ragione. Per questo il numero dei morti continua a occupare le cronache dei principali siti e quotidiani. Ieri sono stati cinque. Ma nel 2018 le vittime della polmonite in Italia furono undicimila. Undicimila diviso trecentosessantacinque giorni fa trenta.
Però i numeri contano in Italia meno degli allarmi. E virologi untori, specializzati nella propagazione del panico, non fanno che ripetere che il virus, che altrove impazza, tornerà da noi minaccioso in autunno. A loro si contrappongono i negazionisti guidati da Vittorio Sgarbi, per i quali i 35 mila morti ufficiali di Covid non sono mai esistiti. Tra opposti estremismi si perdono le preoccupazioni di chi, come Gabriele Gravina, vorrebbe sedersi a un tavolo ministeriale con politici, tecnici e uomini di calcio per decidere che fare. Il presidente della Figc pecca di ingenuità. Non si rassegna all’idea che la parola d’ordine dell’estate sia “rinviare”. Nelle stanze della politica si canticchia a mezza voce come un piacevole tormentone ogni volta che qualcuno pronuncia un’altra parola: “Mes”. La riapertura al pubblico degli stadi e il prestito europeo dei fondi per la sanità hanno lo stesso destino: arriveranno come un gol in zona Cesarini segnato in mischia. Nessuno saprà mai di chi sia l’ultimo tocco.