Il rimpianto del San Paolo
Mertens sfiora subito il gol, poi mezz’ora da incubo: vanno a segno Lenglet, Lionel e Suarez. Insigne accorcia, poi una buona ripresa e un altro palo, di Lozano Nei quarti Setièn sfiderà il Bayern
Non c’è nulla di casuale nell’aver rivisto proprio ieri sprazzi di Barcellona intrattabile, il più ingiocabile degli ultimi due mesi.
Adios, però con dignità: e nella notte del «diez» (quello contemporaneo), ciò che resta del Napoli è un sogno che svanisce in fretta, rischia di trasformarsi in incubo, e però poi sistema il calcio al centro d’un villaggio globale illuminato a giorno da un alieno. Lionel Messi è il fenomeno paranormale che «distrugge», rapidamente, le speranze e pure le illusioni: in mezz’ora sontuosa, tratteggiata da capolavori alla Gaudì, il Barcellona ristabilisce la verità, tutta la verità ed esclusivamente le gerarchie, lasciando al Napoli almeno l’onore. Il rischio di ritrovarsi frantumati, in certe notti, può essere enorme come quel Camp Nou che divora: e il Napoli che saluta agli ottavi ha almeno immaginato d’essere dentro una favola per dieci minuti appena, il tempo di vedere il sinistro di Mertens (3') strozzato contro un palo esterno e poi di accorgersi che la legge non è sempre uguale per tutti, certo non per Lenglet, che spedisce prima Demme a carambolare su Koulibaly e poi di testa fa 1-0 tra lo sguardo distratto di arbitro e occhio tecnologico.
DURISSIMA. L’Everest è irraggiungibile a mani nude, però con i piedi di Messi si arriva ovunque, anche alle soglie del Paradiso, oppure nella narrazione fantascientifica che al 23' mischia la fisica con la genialità tecnica. Quel pallone, un umano non lo domerebbe ma Messi è altro: lo governa tra Mario Rui e Insigne, lo assorbe a sé mentre cada e si rialza, lo pettina tra Manolas e Koulibaly e poi lo deposita, come un lingotto d’oro, nell’angolo lontano di Ospina. E’ un’impresa titanica, ben oltre i limiti dell’impossibile, in una serata che il Barça decide di dominare, nonostante Cakir e il Var inducano a chiedersi cosa ci siano a fare quando (30') annullano il 3-0 di Messi per un mani invisibile. Ma il calcio è anche altro e il Napoli deve aver dimenticato ogni nozione in quella pausa infinita e nella quale pure Koulibaly si concede, abbattendo Messi (45') e mandando Luis Suarez al dischetto per il 3-0. In quel «surreale» primo tempo, il Napoli è racchiuso nelle sue difficoltà di palleggiare, di esprimere concetti persino banali, distante da se stesso e confuso in Koulibaly (?) e Demme, in Zielinski e Fabian, e schiacciato da De Jong e da Rakitic, da sua Maestà e da
Semedo. E quando ormai sembra finita, stavolta senza il Var, Rakitic concede la speranza, un’illusione, tranciando Mertens e concedendo a Insigne il rigore del 3-1.
REAZIONE. In quella opacità, Gattuso interviene per trovare energia e vivacità: Demme resta a farsi la doccia, Lobotka va in mezzo al campo, il possesso cresce (quasi equo: 51% catalano) ma il Barça per vacillare deve essere frustrato con idee che gli tolgano certezze. Arrivare a Mertens è dura, e il Barcellona può danzare quasi in leggerezza e custodire i quarti, lasciando che quei tre là davanti facciano ciò che vogliono ma seguendo la lettura della partita, e poi «dominando» spazi e dinamiche dalla mediana in giù, intorno a Rakitic, De Jong e Piqué vibranti. Però il fragile Napoli riemerge, si prende un bel pezzo della ripresa (rinfrescata con Lobotka dal 1' e tardivamente con Politano e Lozano dal 25'), si sistema (con il 4-2-3-1) nella trequarti avversaria, costruisce con un «resuscitato» Insigne (26' assist alla sua maniera e colpo di testa fuori di Lozano) ma è sostanzialmente costretto a portarsi sulle spalle quei macigni che nella «scalata» l’hanno piegato.
PALPABILE. In quel faticoso viaggio di avvicinamento verso la normalità, il Napoli double face ci sistema rabbia e anche tracce di calcio godibile: alla fine ci aggiunge un gol annullato a Milik (80', bello e però inutile, per centimetri di fuorigioco) e un palo di Lozano (85') in una serata già segnata, infarcita da frammenti di personalità in quella maledetta mezz’ora che va dal 10' al 45', un limite che è ricomparso impietoso e che comunque invita a riflessioni. E il Barcellona, ormai distante dalla crisi che ha fatto tremare la panchina di Setien, se ne è rimasto a gestire, pensando al suo quarto di finale, respirando l’aria dell’Everest che il Napoli ormai osservava da troppo lontano.