Il narratore del diamante
È tornato il baseball, lo sport che da Codogno ha lanciato la sfida al Coronavirus e al lockdown. Lo sport che ha ricevuto amore e onori specialmente nella nostra regione, fra Rimini, Bologna e
Parma. Leggo le prime cronache: «La Fortitudo Bologna ha battuto il San Marino, festa al Gianni Falchi... La storia ricomincia così, da oltre cinquant’anni.
Chi era, Gianni Falchi? Cerco di documentarmi, ma temo che non lo ricordi nessuno, forse solo noi vecchi che seguivamo il baseball e che lo avevamo conosciuto a Stadio, animatore del suo sport preferito, in realtà della vita in redazione. Gianni era sempre allegro, faceva scherzi. Era anche un bravo giornalista. Un amico. Il destino lo scelse e lo portò via, una sera, mentre appena uscito dal lavoro attraversava via Mattei per andare al parcheggio: un’auto lo investì e lo uccise. Fu uno choc per tutti. Per la città. E quando i lavori per la costruzione dello stadio del baseball furono a buon punto decisero di dargli il nome del narratore più brillante, il suo: Everardo Dalla Noce, Rai, era fascinoso ma compassato (Enzo Ferrari lo chiamava Bella Voce); Giorgio Gandolfi, Tuttosport, era convinto di avere in mano lo sport più importante da quando Fidel Castro lo aveva fatto arrestare a Cuba come sovversivo; Giorgio Imbastaro
della Gazzetta era il Custode inappuntabile. Anche quello che teneva a bada Bruno Beneck, il presidente federale pieno di iniziative. Aveva portato a Bologna anche il Football Americano.
Gianni ebbe il suo stadio tutto nuovo e Bologna ebbe il suo Mondiale. La cui gestione era stata affidata alla Rai. Che scoprì di non avere un telecronista da baseball. Mai infortunio fu più... fortunato: le cronache di uno sport televisivamente misterioso per i tecnici che faticavano a mettere insieme immagini “leggibili” furono affidate a due volontari eccellenti, Aldo Giordani e Nando Martellini. Quando beccai una vivacissima telecronaca di Nando lo rimproverai di non mettere altrettanta verve in quelle pallonare. Sinceramente, come sempre, mi disse: «Vedi, il baseball mi diverte».
Con Gianni - conosciuto quand’ero ancora al Carlino - parlai di baseball appena il discorso finì sul Rimini che vinceva scudetti come se fosse il Nettuno. Cosa c’entrava Rimini? Facile: anch’io avevo studiato al liceo classico Giulio Cesare e sapevo per forza che il mio insegnante di educazione fisica, pentatleta ai Giochi di Los Angeles 1932, Eugenio Pagnini detto “Olympic Gen”, aveva importato il baseball dagli Stati Uniti e ce lo insegnava. Così nacque la potente squadra della Libertas che vinceva scudetti. Ci giocavano anche alcuni miei compagni di scuola, i fratelli
Zucconi e Oliveti. Il massimo del divertimento era quando riuscivamo a coinvolgere nelle nostre chiacchiere Giorgio Regazzi, un redattore del Carlino uscito da un romanzo di Mickey Spillane che ad ogni considerazione razionale lanciava la sua nota sottolineatura: «Me a tal cazz...». Il resto mancia.