COVERCIANO E L’ITALIA CON FINI IN CATTEDRA E VECCHIET IN PANCHINA
Ricordiamo anche il medico “azzurro” sempre con Bearzot
Carissimo, le scrivo con un pizzico di nostalgia dopo la scomparsa di Fino Fini. Ho frequentato Coverciano per oltre quarant’anni, dal ‘77 fino a questi giorni. Ho conosciuto tanti personaggi che lo hanno popolato e arricchito, da Fino che è stato l’istituzione del centro, a Sandro Selvi, il massaggiatore della Nazionale campione del mondo; da Italo Allodi a Guido Vantaggiato, il segretario-amico di Bearzot. Vi trascorrevano le loro giornate i grandi uomini di calcio, come Ferruccio Valcareggi, che abitava in piazza Fardella, a un chilometro da Coverciano, e i giornalisti della generazione precedente alla mia, il compagno Loris Ciullini, il suo inseparabile amico Raffaello Paloscia, il mio vecchio capo Roberto Gamucci. Eranounaltrotempo,unaltromondo, un’altra vita. Come può vedere, non è solo un pizzico di nostalgia.
Caro Alberto, aggiungi quindici anni ai tuoi - io a Firenze c’ero spesso dal ‘62 - e Nerio Giorgetti della Gazza e Riccardo Roncaglia di Tuttosport al gruppo di colleghi più originale e unito ch’io abbia mai incontrato. Eravamo amici ma ognuno faceva il suo. Anche Roncaglia che sembrava arrivato da Marte e tuttavia dava un contributo di sana follìa quando interrogava Pesaola fingendosi all’oscuro di tutto. Quell’anno con la viola - il 1969 - fu straordinario perché Baglini sembrava uscito da un romanzo tant’era diverso da tutla ti i presidenti conosciuti: quando andava per giornali, anche con la scusa che vendeva inchiostri da stampa, aveva sempre qualche predicozzo per capi e per direttori: no, non si lamentava per la Fiorentina, citava a memoria brani di articoli infelici per via della lingua italiana e alla fine lo sopportavano benevolmente. Pesaola, poi, viveva la sua più bella stagione da allenatore. E vinceva, confortato dal presidente e aiutato dal medico sociale, professor Anselmi, al quale il Petisso aveva dato un incarico speciale: fingere al venerdì di decidere chi far giocare, fra Rizzo e Chiarugi, sempre in lotta per un posto, inventandosi problemi di salute. E noi si stava al gioco perché contava solo veder vincere la Fiore.
Poi, c’era Coverciano. Anzi, prima. Ci si ritrovava nei primi Sessanta, altri ragazzi, Pesciaroli per il Corsport, Mirone per Tuttosport, facevamo la C e la Nazionale semipro diretta da Galluzzi - detto I’ggallo - che doveva allevare talenti, e ne aveva. Io arrivai nella stagione 1962- 63, c’era appena passato un ragazzo del Legnano che si chiamava Gigi Riva. Il Fini e il Selvi li conobbi lì. E ci litigai mille volte, tuttavia sapendo che il massaggiatore scherzava (anche pesante), mentre Fini badava più alla gestione del potere che poi ebbe per sempre, fatta salva la parentesi di Allodi. Fini ebbe soprattutto un durissimo scontro con Facchetti e altri azzurri dopo
Fino Fini
Classe 1928, fiorentino, ci ha lasciati il 16 settembre scorso. E’ stato dirigente del servizio medico delle Nazionali e ideatore del Museo del Calcio
Corea 1966, quand’era medico/ stregone della Nazionale sconfitta da Pak Doo Ik. Sua l’idea del Museo del calcio di Coverciano per il quale mi aveva chiesto collaborazione ma avevo già troppi impegni. È stato ricordato come medico della Nazionale fino al 1982, ma nell’anno del Mundial vinto - e già prima, in Argentina 78 - il collaboratore diretto di Bearzot era Leonardo Vecchiet, mentre Fini era il dirigente di settore. Con la FIGC Leonardo ebbe un rapporto continuativo dal 1958, fino al 1967 come medico delle nazionali minori; dal 1968 fino al 1990, con