Corriere dello Sport

LECLERC E HAMILTON USCITI DALLA PAURA

Così i piloti superano l’incidente di Grosjean, dopo giorni di riflession­e Il ferrarista: «Credevo fosse morto». Lewis: «Il pensiero di ritirarmi si è affacciato»

- Di Fulvio Solms

La paura di morire in corsa è un mostro messo a sedimentar­e da anni di ricerca e di misure sempre più adeguate alla sicurezza, ma in realtà mai del tutto scomparso. I piloti percepisco­no questa presenza silenziosa, che si esorcizza facendo finta di nulla.

Ogni tanto però, com’è avvenuto domenica scorsa con l’uscita di Romain Grosjean dal rogo della sua Haas, tocca tornare a fare i conti con la bestia. E non sono momenti facili. Qualcuno come Daniel Ricciardo non è ancora riuscito del tutto a metabolizz­are, altri sì. Uno di questi è Charles Leclerc, passato attraverso la sofferenza per la scomparsa di due cari amici, vittime delle conseguenz­e di incidenti di gara: Jules Bianchi, come un fratello maggiore per lui, e solo lo scorso anno Anthoine Hubert.

PENSARE AL PEGGIO. «Ho visto il botto negli specchiett­i – è tornato a raccontare il ferrarista, svelando stavolta i pensieri che l’hanno attraversa­to – Ho capito subito che era molto grave e ho immaginato subito il peggio. Non credevo fosse sopravviss­uto, soprattutt­o mentre guardavo da lontano quelle fiamme così alte. Ho chiesto informazio­ni ai miei, che ancora non sapevano: ho avuto la sensazione che la bella notizia mi sia arrivata solo dopo ore».

Si è espresso anche Lewis Hamilton, ovviamente a distanza essendo isolato per smaltire il Covid: «Sarei un ipocrita se dicessi di non aver pensato al ritiro. Ma poi capisci che è il tuo sport e devi accettarne i pericoli. Quando avevo nove anni vidi morire un bambino nello stesso giorno in cui io vincevo una gara, nei kart. Dunque sono consapevol­e di ciò che rischio ma ci sono momenti, come domenica scorsa, in cui ti chiedi se ne valga la pena. Quando riguardavo i replay con il fuoco mi dicevo: “cavolo, ma ha una moglie e dei figli!”».

PILOTI. Non è poi tanto strano ascoltare queste ammissioni da un pluricampi­one: quella del rischio di morire in corsa non è frusta retorica, ma glaciale consapevol­ezza dei rischi che si accettano (e che le regole devono minimizzar­e). «Non sto certo pensando di ritirarmi per questo incidente – ha anche osservato Hamilton – Non ho alcun timore e sono certo che noi tutti torneremo a fare ciò che abbiamo sempre fatto». Senza andar troppo distanti: lo stesso Grosjean sta cercando di accelerare la guarigione per poter correre la settimana prossima ad Abu Dhabi.

Tutto questo si spiega con una parola sola: piloti. Sono piloti, e chi li conosce sa quanto i loro processi logici siano affatto diversi da quelli di qualsiasi altro normale sportivo, o lavoratore.

Emotivamen­te più esposto degli altri è stato Kevin Magnussen sull’altra Haas. Quando gli ingegneri gli hanno detto che Romain era fuori e stava bene, lui non ci credeva. Pensava lo rassicuras­sero per tenerlo tranquillo. Ha chiesto conferma, due volte. E gliel’hanno ripetuto scandendo le parole, quasi giurando, due volte. «Risalire in macchina e correre non mi è sembrato giusto – è l’idea di Magnussen – Ma Romain è stato proprio bravo. Mi tolgo il cappello». E oggi ci si rimette il casco.

 ?? ANSA ?? Romain Grosjean ieri ai box con i medici intervenut­i, il pilota Alan Van der Merwe (sin.) e il dottor Ian Roberts
ANSA Romain Grosjean ieri ai box con i medici intervenut­i, il pilota Alan Van der Merwe (sin.) e il dottor Ian Roberts
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