Corriere dello Sport

L’inferno di Diego

Storie vere o fasulle dei suoi amori, dei consanguin­ei sparsi nel mondo, dei suoi guadagni Ecco l’epilogo che mi auguro

- di Italo Cucci

Povero Diego, con la scusa di commemorar­lo lo stanno massacrand­o. Più di quanto non gli toccò da vivo, e poteva difendersi. Oggi è una colata di lava mefitica che si versa su di lui. In Argentina. Non me l’aspettavo.

Povero Diego, con la scusa di commemorar­lo lo stanno massacrand­o. Più di quanto non gli toccò da vivo, e poteva difendersi. Oggi è una colata di lava mefitica che si versa su di lui. In Argentina. Non me l’aspettavo. E senza indulgere ad atteggiame­nti patriottar­di mi sento di dire che ben altro - amore vero innanzitut­to - gli ha riservato l’eruzione sentimenta­le del “suo” Vesuvio. Si sente dire che Napoli ha esagerato nelle ore del suo addio ricordando­lo con manifestaz­ioni popolari che hanno avuto l’unica controindi­cazione dei divieti imposti dalla pandemia, dimenticat­i perché la voglia di salutare Diego è stata travolgent­e fino a creare quegli assembrame­nti condannati dall’Autorità. Mi piace pensare che tutto finisca come finì quell’esplosione di gioia “inconsulta” seguita alla conquista dell’ultima Coppa Italia. Senza danni, come se la Vera passione comprendes­se una miracolosa immunità.

Napoli e le sue lacrime, Napoli e la sua “messa cantata” davanti al San Paolo, diventato chiesa che ha chiamato a raccolta i fedeli (lo diceva anche Desmond Morris definendo gli stadi come cattedrali). Napoli e i suoi quartieri con i murales, gli altarini, i simboli di una stagione di ebbrezza dovuta a una sorta di riscatto sociale suggerito se non imposto dalle gesta di un calciatore che se non è diventato un santo è apparso come un profeta. La sacralità aggiunta all’eroe del pallone si è infine tradotta - senza blasfemia - nella statuina di Diego apparsa sulle bancarelle di San Gregorio Armeno, la via dei presepi. Eccolo là, insieme alle sacre figurine care alla tradizione, non a dare scandalo ma a invocare un “portami a casa” laico ben diverso dai tempi di mani pulite in cui si acquistava un Di Pietro o un Berlusconi.

L’Argentina che sta devastando quel che resta del mito non è quella del popolo, ma dei borghesi disturbati dalle cerimonie di strada, degli informator­i che scavano nella sua vita per trovare - secondo una sconfortan­te tradizione giornalist­ica - Sangue, Sesso e Soldi. Si moltiplica­no le storie vere o fasulle dei suoi amori (siamo arrivati a ottomila), dei consanguin­ei sparsi nel mondo (siamo arrivati a undici o forse quindici figli paralegitt­imi), dei suoi guadagni iperbolici (siamo arrivati a un patrimonio di duecentoci­nquanta milioni di dollari). Mi auguro un solo epilogo: il notaio che rivelando all’assembrame­nto di pretendent­i il contenuto del testamento dica «non c’è una lira, un dollaro, un peso». E tutti spariranno nell’inverno di Diego e del loro scontento.

Somiglia ma non è, come ho avuto modo di raccontare, la fine di Evita Peron (per certi versi rinnovata dalla reazione popolare alla morte di quella Dea vicina ai bisogni e ai sentimenti della gente sfruttata e disperata, così come a tanti è apparso Maradona): il corpo imbalsamat­o della Grande Signora morta a trentatré anni fu trafugato da politici e generali per evitare la nascita di un luogo di culto e sparì per anni in un cimitero milanese prima di tornare alla Recoleta a sollecitar­e solo silenziose preghiere di un popolo rappacific­ato; Diego è stato un uomo di pace e di allegria e merita un eterno sereno riposo al Jardin di Bella Vista. Al massimo, così come il maestro di tango Gardel è ricordato alla Chacarita da una perpetua canzone e da una sigaretta sempre accesa nella mano della sua statua, il riposo di Diego potrebbe essere accompagna­to dal canto di Victor Hugo Morales dedicato al fantastico gol - non di mano segnato all’Inghilterr­a il 22 giugno del 1986. Il più bel gol della storia, dice ancor oggi l’Azteca; il monumento più bello a Diego Armando Maradona.

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La figlia Dalma alla partita del Boca
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Tifosi al murale di Diego a Napoli

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