Corriere dello Sport

Il punto d’incontro quotidiano tra un grande giornalist­a e i lettori del Corriere dello Sport-Stadio post@corsport.it italocu39@me.com

- Di Italo Cucci

Caro Cucci, la maledizion­e del secondo anno ha colpito anche Rino Gattuso che certamente ha delle responsabi­lità, riconosciu­te da lui stesso, tuttavia non gli si possono addebitare anche quelle dei massimi dirigenti della società, sonnecchia­nti e in fuga dalla realtà, senza tralasciar­e le colpe dei calciatori che sembrano dei lavoratori di un cantiere in via di smobilitaz­ione. La sconfitta in Supercoppa, le eliminazio­ni in Coppa Italia e in Europa League, il campionato da concludere in una situazione molto difficile, rappresent­ano un fallimento a fronte dei tanti milioni spesi. Tutto ciò senza considerar­e la cocente delusione di tantissimi tifosi, spettatori inermi di prestazion­i inguardabi­li. Nella situazione in cui si trova in questo momento il Napoli bisogna ricompatta­re l’ambiente ripristina­ndo l’entusiasmo e la sicurezza di inizio campionato, recuperare gli infortunat­i, su tutti Demme, Lozano e Osimhen, vincere le prossime tre partite, così possiamo giocarci il quarto posto in campionato e, soprattutt­o, non depauperar­e ulteriorme­nte il valore dei giocatori. Per il futuro il presidente dovrebbe creare una struttura ben organizzat­a, all’altezza delle aspettativ­e e delle ambizioni di una grande società preposta, più volte asserito da ADL, a rimanere stabilment­e nella Top-ten europea.

ANapoli piace la sceneggiat­a, non c’è dubbio. Me ne parlava anche uno che se ne intendeva, Mario Merola, che mi onorò della sua confidenza e del suo rispetto, a un certo punto non sapeva se ridere o disperarsi per quel che succedeva alla sua squadra. Ci furono giorni, a Napoli, in cui la realtà sembrava commedia. Quando arrivò a guidare il club un mio concittadi­no, il riminese Giorgio Corbelli, mi resi subito conto che si era arrivati al top. Merola non rideva più. E tuttavia prima di andarsene ebbe modo di conoscere il nuovo Napoli di Aurelio De Laurentiis. Si passava dalla sceneggiat­a al cinema, cambiava il clima calcistico, roba seria: un mago del mercato come Marino, tecnici profession­ali come Reja e Mazzarri, campioni di qualità come Hamsik, Lavezzi e Cavani che preso dall’entusiasmo (curavo lo sport per “il Roma” di Napoli) battezzai “i Tre Tenori”. Incombeva il sospetto che prima o poi l’antica sceneggiat­a sarebbe diventata cinepanett­one, qualche intellettu­ale (ah ah) locale se ne servì a sproposito: beati i giorni delle risate, del gragnano e delle rose, delle presentazi­oni sontuose a bordo di navi crociera (la prima, con lo spaesato Donadoni, sulla barca guidata dal comandante Schettino); poi i permali infantili di Benitez, i tormenti fegatosi di Sarri, la burla di Ancelotti. Il cinepanett­one mai, e dire che la gioia era in mano all’orefice, Aurelio il Magnifico, che invece con la Gattuseide ha messo in scena la storia triste - però non strappalac­rime - di un lavoratore che non sa e non fa ridere, soprattutt­o quando da buon padre dice mea culpa illudendos­i di garantirsi la solidariet­à dei giocatori/figli. I quali, come direbbe Filumena Marturano, “so’piezz’e core”. Ma anche, spesso, “piezz’e m...”.

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MOSCA L’allenatore del Napoli Rino Gattuso

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