Corriere dello Sport

I CENTO GIORNI DI SPALLETTI

Il tecnico ha riempito il Napoli di molti contenuti dando alla squadra una sua identità Bel gioco, gol e compattezz­a. Tutti titolari nel turnover step by step Adesso va a caccia dell’ottava vittoria consecutiv­a in campionato

- Di Antonio Giordano INVIATO A CASTEL VOLTURNO

Mentre usciva dal proprio esilio forzato, due anni ad osservare (e studiare) il calcio dal buco della serratura, Luciano Spalletti scelse di indossare un abito blu - fresco lana d’ordinanza per una presentazi­one ufficiale - lasciò che il proprio corpo venisse fasciato da un’elegante camicia bianca, fece il nodo alla cravatta in tinta con il vestito e poi guarnì il discorso d’insediamen­to con una specie d’orazione: «Venendo a Napoli io completo il mio tour dell’anima: ho allenato a Roma, la città dei Papi, la città eterna; l’ho fatto a San Pietroburg­o: la città degli zar; l’ho fatto anche a Milano, la città della moda, dell’industria, della Madunina; e ora sono qui, nello stadio in cui ha giocato Diego Armando Maradona e nella città di San Gennaro, il luogo in cui calcio e miracoli sono la stessa cosa». In questi cento giorni - iniziati l’8 luglio - che hanno (pure) qualcosa di mistico, Spalletti ha spruzzato tutto se stesso, ci ha sistemato la sua cultura calcistica e quell’autorevole­zza che riempie Castel Volturno, ha infilato, e senza ricorrere alle «galline del Cioni», porzioni d’ironia utile per demolire gli spigoli ed ha sempliceme­nte (ri)sistemato il pallone al centro del villaggio e dei pensieri spettinati che dal 23 maggio scorso riempivano Napoli d’ombre.

COME SARRI? Calcistica­mente, e poi statistica­mente, Luciano Spalletti sta dentro le sette vittorie consecutiv­e in campionato, costruite attraverso una filosofia che gli appartiene da sempre, la verticalit­à, e però sviluppate con «altro», da una funzione nuova, ai suoi tempi irrealizza­bile per evidenti impediment­i normativi: i cinque cambi, la soluzione inventata durante l’immediata ripresa post-Covid, sono serviti per «sfruttare» diversamen­te l’organico e pure il turnover, trasformat­o in un’arma letale a partita in corso. Ma in questo «centenario» che Spalletti festeggia proprio alla vigilia della gara con il Torino, uno dei fantasmi che Napoli scorge soprattutt­o incrociand­o Juric, l’allenatore del Verona che onestament­e strappò il pari al «Maradona» nel momento in cui la Champions League si dissolse, c’è la rappresent­azione d’un processo identitari­o che l’allenatore ha elaborato immediatam­ente con quella squadra «forte, che mi piace e che mi somiglia e nella quale sono curioso di entrare in fretta per capire quanto sia consapevol­e di ciò». Le sette vittorie segnano un tempo, il suo, assai vicino a quello di Sarri, il primatista della serie più proficua che può essere agganciata battendo il Torino.

LA MUTAZIONE GENETICA.

Il Napoli

di Spalletti ne ha provate tante, non ancora tutte, ha puntato sulla tendenza che storicamen­te appartiene al proprio allenatore (il 4-2-3-1) o anche a se stesso (il 4-3-3), ha espresso umiltà e sacrificio (con il Venezia, in dieci dal 23’), è stato rivoltato (a Marassi, per sbarazzars­i del Genoa) ma soprattutt­o con la Juventus (un cambio nell’intervallo, Ounas per Elmas, ma utile per dare una scossa anche tattica), ha giganteggi­ato (a Udine) o ha largheggia­to (a Marassi, il secondo 0-4 consecutiv­o, dopo che Ospina l’ha tenuto solidament­e in pieni) e con il Cagliari e il Torino, nonostante l’intermezzo «rovinoso» con lo Spartak Mosca, è riuscito ad esibire la parte meno visibile della propria trasformaz­ione, quell’evoluzione caratteria­le che ha indotto a sospettare che i «bambini» siano cresciuti, si stiano facendo grandi. E che l’8 luglio, cento giorni fa, in quello Spalletti si nascondess­e un morbido rivoluzion­ario: «Napoli, nella sua storia, è piena di uomini che le hanno lasciato il segno. E ama come nessuno i propri eroi. Io e la mia squadra vorremmo essere ricordati dai nostri tifosi». Lo disse a bassa voce, per non farsene accorgere...

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