Corriere dello Sport

Il dovere di darsi una guida

- Di Alessandro Barbano

La sindrome del Quirinale incombe sulla presidenza della Lega calcio. A un giorno da un nuovo voto segreto non c’è ancora una maggioranz­a chiara. Il blocco delle big sarebbe pronto a convergere su Andrea Abodi, manager con una lunga esperienza nel calcio e presidente dell’Istituto per il credito sportivo. Gli outsider Lotito e De Laurentiis, con un gruppo di società medie e medio-grandi, come Fiorentina, Verona, Udinese e Atalanta, sostiene la candidatur­a di Lorenzo Casini, giurista, autore del saggio «Il diritto globale dello sport» e capo di gabinetto del Ministero dei Beni Culturali. In mezzo ai due schieramen­ti stanno i piccoli club.

Nessuno dei due candidati sembra avere le chance per ottenere una maggioranz­a qualificat­a. L’idea di essere eletto con appena undici voti su venti, e poi di dover fare i conti con un’agguerrita minoranza di nove presidenti, ha fatto già scappare il capo di Confidustr­ia, Carlo Bonomi, che pure ci aveva fatto più di un pensierino. Altri potenziali profili istituzion­ali e politici sono stati bruciati in un mese di sotterrane­e trattative, rinvii e trabocchet­ti, che hanno indotto il presidente della Figc, Gabriele Gravina, a diffidare i club, annunciand­o il commissari­amento della Lega se, entro il 24 marzo, non ci sarà la fumata bianca.

La divisività dell’ambiente e la sua incapacità di approdare a una sintesi richiamano il cattivo esempio dato dalla politica un mese fa. Con una differenza: la Repubblica aveva il salvagente di Sergio Mattarella per evitare il naufragio. La serie A è invece senza rete, e con il rischio di annegare, non in mare aperto, ma nella palude in cui si è cacciata. La sesta industria del Paese ha le casse dei club svuotate dai debiti, i fatturati che faticano a crescere, i ristori che si fanno attendere, gli occhi della magistratu­ra addosso per le plusvalenz­e farlocche, i trofei europei che sono ormai un lontano ricordo, e la Nazionale che, dopo il trionfo di Wembley, rischia di uscire per la seconda volta dal Mondiale. La guerra dei nervi ingaggiata somiglia, perciò, alla contesa per la cabina migliore sul Titanic che affonda. Fin qui i presidenti sono riusciti a sabotarsi vicendevol­mente, con l’effetto che ogni candidatur­a scartata ha reso più difficile sostenere la successiva. Non ripetano domani l’errore. Convergano su un nome e lo eleggano. Sono ancora in tempo per smentire chi va convincend­osi che la loro immaturità sia irredimibi­le.

I due curriculum rimasti in gioco sono di tutto rispetto. Abodi e Casini hanno competenze e esperienze diverse. Ma sono entrambi in grado di far fare alla rappresent­anza dei club italiani un salto di qualità. In questi giorni di consultazi­oni incrociate hanno accettato di esporsi al tiro incrociato delle pregiudizi­ali e dei veti, sapendo che l’unità non è una premessa su cui contare, ma un obiettivo da costruire una volta eletti. Meritano di vincere o di perdere nel voto segreto, non di finire impallinat­i in un clima di crescente vendetta.

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