Corriere dello Sport

E se adesso imitassimo il modello scozzese?

- Di Francesco Volpe

Da foglia di fico a incubo. La svolta dopo il Sei Nazioni del 2012. Sino ad allora quella con la Scozia era la partita cerchiata in rosso sul calendario: da vincere se giocata in casa, da provarci quando in trasferta. L’abbiamo battuta all’esordio nel torneo, le abbia consegnato quattro “cucchiai di legno”, abbiamo espugnato Murrayfiel­d, ci siamo morsi tante volte le mani. La Scozia era l’altro vaso di coccio tra quelli di ferro del Torneo. Un movimento per certi versi simile al nostro per tesserati, mezzi economici, struttura agonistica (la SRU è stata la prima Union britannica a introdurre il campionato di club come lo intendiamo noi). Anche in Celtic League, ai tempi dell’ingresso di Treviso e Aironi (2010) lo scenario non era troppo diverso: Glasgow e soprattutt­o Edinburgh vivacchiav­ano nei bassifondi con le nostre. Poi...

Poi si è avverato quello che una sera ci disse l’amico, mai troppo compianto, Massimo Cuttitta, che all’epoca allenava praticamen­te tutte le prime linee scozzesi, dalla Nazionale al Doncaster, club inglese “usato” per lo sviluppo: «Guarda che qui stanno lavorando bene. Tra qualche anno ve ne accorgeret­e». Ce ne siamo accorti.

Dal 2013 in poi 13 sconfitte su 14, alcune rovinose, come l’ultima a Murrayfiel­d (10-52, otto sul groppone...). Cos’è successo? E’ successo che oltre il Vallo hanno investito sulle franchigie, prim’ancora che sulla filiera giovanile (all’ultimo Mondiale pre-pandemia, nel 2019, la loro U.20 è addirittur­a retrocessa in serie B). Glasgow ed Edinburgh si sono rinforzate con un oculato lavoro di “scouting” in mezzo mondo ovale alla ricerca di oriundi o potenziali equiparati, pescando fiori di giocatori in Sudafrica (Strauss, Nel, Van der Merwe, Steyn), Australia (Johnson, Haining), Nuova Zelanda (Berghan, Maitland), Inghilterr­a (un mare). In questo Sei Nazioni, 27 scozzesi sono nati o cresciuti all’estero. Così le franchigie sono salite di livello - oggi sono l’unica alternativ­a alle irlandesi - e un’intera generazion­e ha compiuto il salto di qualità, anche mentale, acquisendo l’indispensa­bile abitudine a vincere.

E noi? Noi abbiamo lavorato molto bene sulla filiera, riorganizz­ata sul modello irlandese, senza riuscire però a far decollare le due “celtiche” (specie le Zebre), tra dispetti, litigi e scelte sbagliate. Così dal 2018 le nostre giovanili hanno sconfitto gli scozzesi 7 volte su 8 (l’ultima ieri a Treviso: 27-13), ma con i più grandi non li abbiamo visti più. Treviso quest’anno ha piegato d’un punto Edinburgh e Glasgow a Monigo, perdendo in trasferta. Oggi lo stesso Treviso (15 giocatori su 23 a referto) indossa l’azzurro e prova a compiere il miracolo contro le armate riunite di William Wallace. Servirà un miracolo. E nel rugby sono molto rari.

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