Corriere dello Sport

Spalletti e Bianchi il tosco affabulato­re e il silente cantatore

Una sfida virtuale sul Napoli di ieri e di oggi così come è raccontato e vissuto da due illustri signori della panchina

- Di Italo Cucci

Caro Cucci, le pongo una domanda e le giuro che non è retorica: «È tanto difficile, specie in Italia, essere allenatori di calcio?». Quando sento dire, appena arriva una parziale striscia di risultati positivi, che il mister è entrato nella testa dei calciatori e gli stessi trainer dicono che il loro primo obiettivo è fare questo, perdonate il mio scetticism­o, rimango interdetto. Non è per il fatto che ci sono fior fiore di specialist­i del mestiere che trovano le loro enormi difficoltà anche dopo lungo tempo a farlo, a entrare in quelle teste, ma è per il fatto che una volta affermato che si è “entrati” nella testa dei calciatori, una volta che si è percepita la fiducia dell’atleta anche con i riscontri di campo, perché dovrebbe essere così difficile spiegare a un giovane nelle piene facoltà fisiche e mentali che magari giocare qualche metro più avanti o più indietro o più verso il centro o verso l’esterno non è un problema, un ostacolo insormonta­bile? Di solito, lo stereotipo dice che i calciatori sono dei privilegia­ti, dei viziati ecc ecc però non facciamoli passare quasi per soggetti non capaci di intendere e di volere. Mi spiego meglio facendo un esempio. Sento dire da Spalletti a voi giornalist­i: «Sì, in effetti Osimhen nelle ultime partite rimane isolato contro la difesa avversaria... è un problema». Allo stesso tempo però afferma: «Stiamo lottando per i primi posti e questo modulo di gioco ci ha portati a questo livello. Non posso cambiare, i ragazzi hanno bisogno di certezze e non possono perdere l’identità di gioco». Identità di gioco la parola chiave che per i più non dovrebbe ammettere replica alcuna. Intanto sono quasi due mesi, complici anche infortuni e Coppa d’Africa che, pur facendo buoni risultati, stentiamo in attacco e non si riesce a fare l’allungo in classifica. Visto che, come diciamo sempre, per caratteris­tiche caratteria­li non abbiamo gente come dicono in Uruguay con la “garra” agonistica, allora cerchiamo altri espedienti per metterli al miglior agio possibile. È lo stesso Spalletti che ha affermato “uomini forti... destini forti, uomini deboli... destini deboli”. Quindi sa come si fa. Ogni tanto, con l’aria che tira, spuntano storie, personaggi, esempi del passato. Da tifoso napoletano sono stufo dei bei ricordi, voglio il presente e basta, solo un po’ di elasticità mentale in più per poterlo vivere da protagonis­ta assoluto. Ma a proposito del passato, ho tuttavia apprezzato molto l’intervista fatta giorni fa da Zazzaroni al grande Ottavio Bianchi. Sì, lui sì ch’è un grande. Parlando dei fuoriclass­e, dei campioni veri, diceva che la loro forza era quella di semplifica­re le cose, non solo la giocata ad effetto ma aiutare l’allenatore a rendere semplice lo sport più bello del mondo. Perché è nella semplicità il segreto e la forza di un gruppo vincente. Chiudo con una frase che il buon Allegri ha detto qualche tempo fa: «Il calcio è semplice... per persone intelligen­ti».

Lucio D’Acunto, Napoli gmail.com

Caro amico, per il benessere di tanti azzeccagar­bugli il calcio assume giorno dopo giorni aspetti complicati­ssimi che per fortuna traggono in inganno solo i gonzi. Ho appena finito di registrare a San Marino Rtv una puntata di “Campioni Campioni”, una trasmissio­ne giunta alla settima edizione, dedicata al calcio vero, visto, vissuto giocato e raccontato da me e da Eraldo Pecci. A parte i miei amarcord, gli interventi dell’Eraldo del Pallone sono piccole, divertenti, fascinose e non pompose lezioni. Il calcio aulico, biblico, quello che Aldo Biscardi definiva “messa cantata”, appartiene ad altre scuderie. Anche i grandi Brera, Ghirelli, Arpino, informavan­o e narravano in forma piana, in un bell’italiano che si faceva leggere e capire. Detto questo, partecipo all’elogio del lumbard Bianchi che quand’era a Roma, sul fronte gialloross­o, invitavo a gustosi (?) faccia a faccia in redazione mettendogl­i di fronte Zoff. Il derby delle parole era naturalmen­te parco di accenti contrastan­ti, alle domande rivolte contempora­neamente ad entrambi spesso Ottavio rispondeva “quello che dice Dino va bene anche per me”. Potete immaginare che libidine. E tuttavia non posso non riconoscer­e un felice ruolo di comunicato­re anche a Spalletti, orgoglioso affabulato­re toscano che da Certaldo porta il suono di Giovanni Boccaccio e in privato anche qualche sua audacia dialettica. Il confronto manca solo di uno scudetto, quello di Ottavio con Diego.

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