Criptovalute e gli sponsor rischiosi
L’instabilità e le oscillazioni di valore potrebbero esporre le società a dei mancati introiti I venti milioni di Socios all’Inter sono garantiti in euro o in token?
La rivoluzione delle criptovalute sembra la terra promessa del calcio. Sponsor mai sentiti campeggiano sulle maglie di mezza Europa, tra annunci di contratti a cifre inimmaginabili. Solo in Serie A sette club (Inter, Juve, Lazio, Roma, Milan, Napoli, Spezia) hanno contratti con piattaforme legate al mondo cripto, alcuni addirittura come sponsor principale.
Socios (proprietaria della criptovaluta Chiliz) garantisce all’Inter 20 milioni l’anno, più di quanto i nerazzurri incassavano da Pirelli. E che dire dei 30 milioni promessi da Binance (fondata dal cinese Changpeng Zao e basata a Singapore) alla Lazio che ha tenuto per anni vuota la maglia, in assenza di offerte ritenute appetibili? O dei 36 pattuiti dalla Roma con Digitalbits?
Legittimo chiedersi da dove arrivino i soldi delle cripto e se siano veri. Un’inchiesta giornalistica del portale specializzato Offthepitch. com rivela dettagli inquietanti.
Secondo l’articolo, il fondatore di Socios Alexander Dreyfus avrebbe deliberatamente omesso di pagare consiglieri e influencer ingaggiati per promuoverne il brand, i cui contratti prevedevano pagamenti in dollari per valori equivalenti della moneta virtuale Chilliz emessa da Socios. In una email (riprodotta da Off The Pitch) Dreyfus definiva gli emolumenti “soldi buttati”. In aggiunta, la rivista ha accertato che a diversi dipendenti di Socios erano stati garantiti stipendi e bonus in criptovaluta, non corrisposti
per anni. Socios avrebbe poi liquidato immediatamente quanto previsto all’avvio dell’inchiesta giornalistica, le cui fonti sono proprio alcuni dipendenti della società, uno dei quali sarebbe stato poi licenziato con accuse di molestie. Perché Socios avrebbe scelto di omettere tali pagamenti? Dalla email di
Dreyfus, l’emissione dei token per i collaboratori ne avrebbe depresso il valore: immettere sul mercato quantità addizionali di un bene quotato lo deprezza naturalmente.
La vicenda, certamente poco edificante, apre temi più vasti sull’invasione delle criptovalute nel calcio. Socios (come altre piattaforme) ha accordi commerciali con 55 club e organizzazioni, tra cui l’Uefa. Ha contratto impegni per 200 milioni che dovrebbero diventare ricavi del calcio nei prossimi anni. Come produrrà tali risorse? Il meccanismo non è chiaro.
Dalla ricostruzione di Off The Pitch, si direbbe, stampando moneta virtuale cioè token che i beneficiari devono convertire in moneta comune. Ma il valore dei token non è stabile: si muove come qualsiasi attività scambiata in borsa o su altre piazze. Quest’anno, a esempio, Chiliz ha oscillato tra un massimo di 0,28 euro e un minimo di 0,13: uno scarto enorme. Annunciando ricavi in euro, i club si basano su un valore assoluto in euro, tutelato da contratti, oppure su quello incerto della criptovaluta? Che garanzie assistono tali contratti? Se Socios dovesse emettere token Chiliz
per 200 milioni di dollari, cioè il 16% dell’attuale capitalizzazione, che ne sarebbe del suo valore? Se il fondatore teme che l’emissione di 10 milioni possa deprimerla, che impatto avrebbe l’emissione di 200 milioni?
Sono domande che il calcio deve porsi, per capire se i ricavi dichiarati nei comunicati sono reali o se si tratti di moneta virtuale. Qual è la solvibilità delle piattaforme? Molte hanno sede in piazze finanziarie come Malta e Singapore: la giurisdizione di tali paesi offre protezioni adeguate? Se i club conteranno su tali introiti senza certezze, il buco che potrebbe colpire il calcio nei prossimi anni rischia di aggiungersi ai danni della pandemia.