Corriere dello Sport

Il primo comandamen­to di Moise la risorsa

- Di Ivan Zazzaroni ©RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Ci sono gol che possono riuscire solo a uno bravo. Sono i gol che nascono al momento giusto dal piede giusto. E ieri era il momento giusto di Moise Kean, oggetto a lungo misterioso del calcio in generale non tanto per questioni tecniche o fisiche, ma di testa: di attenzione, leggerezza, superficia­lità. In una parola sola, immaturità. Ripartendo proprio dalla rete rapinosa che ha segnato all’ottavo di Juve-Empoli - prima gioia stagionale - e dall’eccellente prestazion­e fornita, Kean ha l’obbligo della consapevol­ezza: deve capire che per diventare un attaccante importante, da calcio di prima fascia e soprattutt­o da Nazionale (ne abbiamo tanto bisogno), talento e fisico non bastano, non sono mai bastati. Il booster è l’etica del lavoro, oltre alla linearità dei comportame­nti e alla chiarezza degli obiettivi. Come diceva mio nonno, dove passa la testa, anche il resto passa.

Allegri l’ha impiegato di nuovo dall’inizio al fianco di Vlahovic non solo pensando alla partita di martedì a Lisbona: ha insistito su Kean perché in precedenza l’aveva visto molto bene, attivo, presente a sé stesso.

Meritati i primi applausi, alla sostituzio­ne.

Kean è tornato così a essere risorsa ed è questa la notizia più bella per il calcio italiano, prima che per la Juve. Una Juve che continua a non rubare l’occhio, a conoscere la sofferenza, ma che migliora nella condizione e nei numeri. Ora ha quattro punti in più rispetto allo scorso anno e, alla peggio per la sua classifica (successo del Napoli all’Olimpico), domenica sera si ritroverà a 10 dal vertice: dodici mesi fa la distanza da Napoli e Milan, che erano in fuga a quota 31, era di 16. Altri numeri sensibili: la prima Juve del post-Ronaldo segnò 15 gol nelle prime 11 uscite, subendone altrettant­i. Da agosto di reti ne ha realizzate 17 contro 7, la metà. Dietro è cambiata.

Abodi building

Lo sport italiano ha un ministro che piace ed è vicino tanto al Coni quanto alla Federcalci­o, Andrea Abodi. Sessantadu­e anni, romano, manager sportivo dal ‘94, di tifo laziale (precisi in tutto) Abodi, ambizioso e preparato, conosce perfettame­nte caratteri, dinamiche, equilibri e intrecci del settore che gli è stato appena consegnato. Ho avuto modo di vederlo all’opera anni fa quando con un abile lavoro di tessitura e relazioni consentì al Pisa di sopravvive­re e darsi un futuro con i Corrado: gli strumenti non gli mancano. Lo sport italiano non ha bisogno soltanto di medaglie, quelle riesce ancora a conquistar­le, e in abbondanza, nonostante le difficoltà che ne complicano l’esistenza. Deve ritrovare un minimo di unità. Abodi, che si incunea fra nuovi ruoli e vecchi problemi, ha un compito da assolvere: fare e non tradire la fiducia, come altri in passato.

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GETTY Max Allegri, 55 anni

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