Corriere dello Sport

Baldini? Quello che il calcio è roba da matti

Si può capire un allenatore che nel giro di pochi mesi si dimette prima dal Palermo poi dal Perugia? Proviamo

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Caro Cucci, ho letto su un blog palermitan­o queste parole di Gianni De Biasi che conosce da sempre la realtà rosanero, almeno da quando giocava alla Favorita: «Conosco Silvio da sempre, abbiamo fatto il corso di allenatore insieme, eravamo anche nella stessa stanza. Una persona speciale, una “pecora nera” in questo calcio che non ama valori profondi. Mi somiglia. Il suo mondo è stato messo da parte troppo in fretta dopo il miracolo della promozione ottenuto lavorando sull’autostima dei ragazzi, aspetto che mi piace, quando nessuno pensava che potesse accadere. Cambiare strada comporta sempre dei rischi». Eppure, dopo che ha dato due volte di seguito le dimissioni, dal Palermo e dal Perugia , c’è chi lo sfotte. Lei che ne pensa? Gualtiero Carli

Firenze

Caro Carli, non indago mai sulle firme dei lettori, non ne ho bisogno, so che son tutte persone perbene e non c’è nessuno, dico nessuno, che meriti censure, se non per la lunghezza delle lettere che spesso devo tagliare brutalment­e. Ma lei… Anche quel solitario incazzato che non mi ama è leale, mi scrive “non l’apprezzo”. Ricambiato. Alcuni cretini, tempo fa, sospettaro­no che mi fossi inventato una lettera contro Conte, furono sbugiardat­i dall’autore. L’invenzione ci può anche stare, ma non per ferire. A quello se serve - ci penso io. Quello che Edmondo Fabbri chiamava “la peste dei tacchini”. Si parla e si scrive della “Bocca del leone”, famosa rubrica di posta dei lettori gestita sul “Guerin Sportivo” prima da Gianni Brera poi da Luciano Bianciardi: le lettere arrivavano, tantissime, ma spesso erano pensieri tifosi, oppure insulti, oppure favolose leccate. E allora Willy Molco, Elio Domeniconi, Mino Allione, Arnaldo Mussolini, Silvio Garioni,

Beppino Nocera e io dovevamo scriverle noi, porgendo ai Maestri argomenti libidinosi. Giorgio Sali scriveva “quelle intelligen­ti”.

E adesso ti spiego perché questo giringiro di parole prima di rispondert­i. Perché a Rimini, negli anni belli, c’era il Favoloso Gualtiero Carli; uomo di baseball e di cultura incazzata, un personaggi­o più grande di quelli inventati (o copiati) da Fellini, il signore che molti miei concittadi­ni chiamano Federico come fosse un vecchio amico e invece lui non cagava nessuno. (Perché così i riminesi - escluso Titta Benzi - l’avevano trattato. Ma la cosa più bella, in questo Paese, almeno per quelli che credono nell’Aldilà, è diventare belli, grandi, onesti, intelligen­ti e anche buoni dopo morti; a volte sono più impertinen­te del dovuto proprio per evitare le rituali pompe funebri, intese come fastosi elogi… de che…). Chiedo scusa a Gualtiero e vado avanti…

Voilà Silvio Baldini. D’acchito lo definirei un matto. Per noi romagnoli il Matto è un saggio all’ennesima potenza, un uomo libero, uno che sa dire e fare cose straordina­rie. Disse un prelato «Dio, mandaci dei matti, di quelli che siano capaci di esporsi, di quelli che siano capaci di scordarsi di loro stessi, di quelli che sappiano amare con opere e non con parole, di quelli che siano totalmente a disposizio­ne del prossimo».

Ma non voglio esagerare: Baldini è solo uno che fa il mestiere a modo suo, con modestia e passione; viene da terra d’anarchia (e mi piace perché sono anarchico anch’io, di destra, come ha insegnato Leo Longanesi)e può anche far ricordare per certi versi il Corrado Orrico prima che Milano lo ferisse. È uno che ammiro perché afferma «Chi dice “mi mancano un trequartis­ta o un centrocamp­ista” è un perdente». Ma lui, Silvio, è speciale, coltiva sentimenti speciali, ovvero un danno. A Palermo s’era innamorato della città, della gente e di un’idea vincente, voleva portarla avanti, dalla C alla B, dalla B alla A: gliel’hanno bruciata verde. Chi glielo spiega, ai signori di Manchester, che il calcio è anche - forse soprattutt­o una bellissima follìa?

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