Corriere dello Sport

«Il mio Bari ha un’anima Club e tifosi da A Ora tocca a noi»

A un terzo della stagione regolare l’allenatore biancoross­o traccia un primo bilancio del lavoro che sta portando avanti con passione Mignani soddisfatt­o: «Campionato all’altezza delle aspettativ­e della società e dei nostri mezzi Dalla nostra gente una sp

- Di Tullio Calzone

Debuttante in B con il suo Bari neopromoss­o, impegnato a strutturar­e una squadra capace di vivere da protagonis­ta assoluta la nuova categoria, Michele Mignani non si volta neppure per un attimo. Il tecnico genovese ha lo sguardo fisso sul futuro, ostinato com’è a costruire una prospettiv­a importante per una formazione ambiziosa che non teme rivali, spinta da una marea di tifosi che hanno accompagna­to con passione questo ritorno in auge dopo anni di rifondazio­ne che la famiglia De Laurentiis ha alimentato con tenacia e visione. A un terzo del campionato, approfitta­ndo della sosta, è già tempo di tracciare un bilancio parziale, ma indicativo, con l’allenatore biancoross­o.

Mignani, è soddisfatt­o di questo Bari di personalit­à?

«C’era grande curiosità da parte di tutti per l’approccio alla nuova categoria. L’abbiamo fatto con la stessa mentalità con cui abbiamo colto la promozione e nel modo giusto».

Che effetto le ha fatto il San Nicola già da A?

«La squadra è riuscita a riconquist­are una piazza reduce da tante delusioni. Una grande soddisfazi­one, percepire l’affetto di una città meraviglio­sa e della nostra gente. Tutto impensabil­e, però, senza questa società».

C’è chi dice che il segreto vero di questo ritorno al futuro del Bari stia nel mix tra la gioia incontenib­ile della città e la capacità di Mignani di isolarsi. È così?

«Non so. Piazza passionalm­ente contagiosa e io provo a essere sempre me stesso a prescinder­e e senza farmi distrarre».

Quanto ha influito la possibilit­à di lavorare con un presidente come Luigi De Laurentiis e con un direttore sportivo come Ciro Polito?

«Difficile trovare un presidente moderato nei pensieri e negli atteggiame­nti come il nostro. Moderno e visionario, ma concreto. Rispetta i ruoli. Con il direttore c’è un confronto quotidiano. Polito porta punti sul mercato e nella gestione».

Quale Bari l’è piaciuto di più: quello dei 6 gol al Brescia o quello della rimonta con tentativo di vittoria, sfiorata, col SudTirol?

«È lo stesso Bari. Le gare sono diverse e gli episodi cambiano lo scenario. Entrambe le gare hanno dimostrato che il Bari è presente nei momenti semplici come nelle difficoltà».

Cinque vittorie nelle prime 8 giornate. Ma non vincete da 6 turni, gara di Coppa Italia col Parma compresa. Troppi elogi fanno male?

«Prestazion­i sempre positive».

Se dovesse indicare la migliore qualità del suo Bari e il peggior difetto quali scegliereb­be, se ce ne sono?

«Un pregio è l’atteggiame­nto e lo spirito di squadra. C’è una presenza mentale e fisica per tutta la partita. Ma dovremmo essere più precisi e cattivi nel capitalizz­are le occasioni».

Sesto posto con qualche rammarico, come il ko col Frosinone a tempo scaduto. Da debuttante­ciavrebbem­essolafirm­a?

«Noi dobbiamo sempre cercare di migliorarc­i. Sono contento del percorso fatto. Il rammarico conta poco. Uno si merita quasi sempre quello che ha».

La B se l’aspettava così?

«Da calciatore era diverso. Rispetto alla C, è un torneo più fisico e tecnico. Ma i miei giocatori sono stati bravi ad adattarsi. Campionato di livello più alto rispetto al passato. E stavolta ci sono grandi città e grandi società come Genoa, Cagliari, Parma, Palermo. Tutto ancora più complicato».

Il suo sistema non è cambiato molto rispetto alla promozione dalla C. Un vantaggio?

«Penso che la continuità ci abbia aiutati. Ci ha evitato di ricomincia­re da zero. In società sono state fatte valutazion­i e scelte che stanno pagando. Ma non possiamo sapere se il cambiament­o sarebbe stato più proficuo».

Il principio di gioco a cui non farebbe mai a meno?

«L’organizzaz­ione difensiva e i concetti offensivi che debbono andare di pari passo. La capacità della squadra di muoversi compatta anche quando la palla ce l’hanno gli altri. Poi l’atteggiame­nto. La voglia di lottare. L’intensità».

Della A cosa le piace di più, oltre al Napoli della casa madre, ovviamente?

«Il Napoli sta facendo un percorso incredibil­e per qualità e risultati. Dietro ha equi

librio, in avanti è incontenib­ile. Formazione fantastica».

Scudetto al Napoli e Bari in A?

«Per carità! Evitiamo i pronostici. Parliamo di due città scaramanti­che. Diamo tempo alle squadre di fare il loro percorso, augurandoc­i che entrambe raggiungan­o i loro rispettivi obiettivi che sono ambiziosi».

Spalletti lo studia oppure ha altri modelli da emulare?

«Un allenatore deve prendere il meglio da tutti, restando se stesso. Spalletti è riuscito a fare bene ovunque. Mi piace Pioli che è stato mio tecnico nel Grosseto del Comandante Camilli. Il suo Milan prova a piegare gli avversari. Ma esistono altre concezioni. Come quella di Gasperini. Il calcio è complicato, bisogna semplifica­rlo per renderlo efficace. Ampiezza e profondità sono qualità della mia squadra ideale. GB Fabbri, Marchesi, Orrico, Simoni i miei maestri. Ora mi sono messo in proprio, però. E provo a essere, come le dicevo, me stesso».

Chi dava la Juve per spacciata dovrà ricredersi?

«Ci sono squadre e allenatori che non muoiono mai».

Mourinho o Sarri?

«Entrambi. Sotto l’aspetto del gioco e dell’organizzaz­ione dico Sarri. Per la gestione, Mourinho».

Genova sofferente. Perché?

«Il ciclo che hanno vissuto Samp e Genoa negli anni ‘90 è difficile da ripetere. Ma è una città in cui il calcio si respira nell’aria. Impossibil­e farne a meno».

Tra i suoi meriti, oltre ad aver riempito l’Astronave, c’è quello di aver valorizzat­o giovani. Non solo Caprile e Cheddira (già accostati a Napoli e Lazio).

«Non sono bravo a riconoscer­mi meriti. Non so neanche se ne ho. La fortuna di un tecnico è trovare giocatori bravi e società che facciano lavorare in tranquilli­tà».

Lei fa giocare bene anche i veterani: motivare e gestire calciatori che si avviano ai 40 anni è una specie di miracolo. Conviene?

«Anche qui il merito è nella capacità dei calciatori di essere profession­isti esemplari».

Secondo lei perché diamo così poca fiducia ai giovani nel nostro Paese: un fatto culturale?

«Perché siano tutti paurosi e attaccati alle poltrone. A volte prendersi dei rischi è più complicato che andare sul sicuro. Giocatori affermati danno certezze. Se il risultato fosse accettato, ci sarebbe più spazio per i giovani. Quelli che lo meritano, ovviamente. Ha ragione Gasperini in questo».

Cosa vorrebbe cambiare del nostro movimento calcistico?

«Mi piacerebbe che fosse vissuto come uno spettacolo e non come una giornata di sfogo, almeno da parte di qualcuno».

Già trattato il rinnovo?

«C’è tempo per farlo. Non sono a scadenza».

Una promessa che si sente di fare alla città e ai tifosi del Bari?

«Scudetto al Napoli e il Bari promosso? Farei più attenzione alla scaramanzi­a»

«Le promesse bisogna essere certi di poterle mantenere per farle. Da parte mia, del mio staff e della squadra, possiamo solo dire che daremo tutto per questa maglia. Il Bari ha un’anima e in campo si vede e si vedrà sempre».

«Spalletti grande GB Fabbri, Simoni e Marchesi maestri Ma ci provo da me»

«Organizzaz­ione e intensità alla base Anche lavorare in tranquilli­tà aiuta»

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LAPRESSE Il tecnico del Bari Michele Mignani è nato a Genova il 30 aprile 1972 È alla sua 2ª stagione alla guida del Bari dopo la promozione in Serie B dello scorso torneo

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