Corriere dello Sport

L’idea di Zenga «Fermiamo il tempo»

Il campione allenatore lancia la sua proposta contro i recuperi monstre

- Di Giorgio Burreddu

«Bisogna chiedersi come aumentare la qualità. Certo non giocando 100’»

«Il tempo effettivo poi toglierebb­e la responsabi­lità dell’arbitro»

«Negli ultimi dieci o cinque minuti della partita ogni volta che il pallone va fuori il cronometro si blocca»

Essere e tempo. Effettivo, ovviamente. Lancia la sua proposta Walter Zenga, 62 anni, uomo ragno per sempre, allenatore, visionario, giramondo, soprattutt­o persona di buon senso. «Lancio la mia proposta: negli ultimi dieci o cinque minuti di partita, con il tempo di recupero incluso ovviamente, ogni volta che la palla va fuori il cronometro si ferma». Dietro le parole di Zenga non c’è solo l’idea del controllo del tempo, che a molti può sembrare effimera. C’è l’esperienza sul campo. La sua. «Sono riflession­i che faccio e che arrivano anche dal mio fine carriera».

Quando stava in Mls?

«Negli Usa all’epoca il cronometro andava da quarantaci­nque a zero e gli ultimi dieci minuti di partita il cronometro veniva stoppato. Rimessa, fallo, infortunio, palla fuori… Ho preso anche gol sulla sirena e siamo andati agli shoot out».

Nessuno spreco di tempo, insomma.

«La seconda esperienza, questa volta da allenatore, è stata nella Champions asiatica. Avevamo un badge con su scritto “play, no delay”. Dovevamo giocare sessanta minuti minimi. Gli arbitri non fischiavan­o mai...».

I recuperi monstre del Mondiale cosa ci suggerisco­no?

«L’input è: aumentate tanto il recupero, portiamo cinque minuti in più di tempo effettivo e arriviamo ai sessanta minuti. Ma alla fine? Prendi Marocco-Croazia: sei minuti di recupero e poi ne hanno giocati un po’ più di tre. Non possono cambiare il regolament­o e dunque ecco i recuperi extralungh­i. Più è lungo e più si gioca. Ma la realtà è che non aumenti la qualità del prodotto».

Dunque percezione più che dato scientific­o.

«La sensazione è sempre quella: quando a fine partita si dà il recupero sembra virtuale, se ci sono cinque minuti alla fine non giochi mai cinque minuti. Perché ci sono tante interruzio­ni: tiro fuori, infortunio, il portiere che perde tempo. E non ci metto di mezzo il Var».

Chi lo gestirebbe il tempo effettivo? Non sarebbe un ulteriore motivo di polemiche?

«No, al contrario: toglierest­i completame­nte la responsabi­lità dell’arbitro e il problema di tutti i giocatori di sollecitar­e una ripresa del gioco. Dall’ottantesim­o in poi stoppi il tempo ogni volta che la palla esce, e fai in modo che lo vedano tutti».

La sperimenta­zione in A?

«Ecco, è chiaro che ogni cosa, ogni novità va sperimenta­ta. Un problema lo avresti sui campi minori, ma poi un sistema si trova. Magari si può cominciare con il solo fatto di rivedere una partita…».

E capire quanto tempo si è perso.

«Sì, magari in bilico fino alla fine, una cosa del genere. E provare a stoppare il cronometro dall’ottantesim­o-ottancinqu­esimo in avanti».

Ne va dello spettacolo?

«Parto da un presuppost­o: vado al cinema, vado a teatro, e pago uno spettacolo che dura tot. Ma se vado allo stadio non vedo 90 minuti di partita. E’ impossibil­e. Uno deve pensare: come faccio ad aumentare la qualità? Non la quantità. Se porti una gara a cento minuti non aumenti la qualità».

Molti dicono: il calcio non è il basket.

«Sono due sport diversi, certo. L’allenatore di basket incide di più: ha il time out e gli ultimi minuti può decidere la partita con uno schema. Quando stavo a Venezia ne parlavo spesso con coach De Raffaele, ex Reyer. Rendere gli ultimi dieci minuti tempo reale, come nel basket, probabilme­nte aumentereb­be la qualità. E anche la tensione. Io adoro il calcio, mi piace da morire, vorrei vedere sempre questo sport pieno di qualità e spettacolo».

Siamo pronti per tutto questo o il calcio è sempre bello pensarlo romantico?

«E’ un po’ come l’età: è un numero. Conta davvero aggiornars­i, essere in linea con le situazioni. Viviamo in un’éra digitale? Non puoi tirarti indietro. Anche se hai 60 o 70 anni. Le cose cambiano, e se cambiano bisogna cercare di trarre un vantaggio. Se poi ho detto una sciocchezz­a alzo le mani». E fermate il tempo.

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LAPRESSE Walter Zenga, 62 anni

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