Il canto dell’Iran assolve il Mondiale
Lo sport prevale sulle chiacchiere malevole che spesso avvelenano gli eventi
Caro Post, caro Cucci, sul Mondiale del Qatar non c’è questione sportiva che tenga rispetto a quella dei diritti umani. Le proteste “silenziose” della nazionale dell’Iran, che voleva accomunare la situazione dei diritti umani nel paese con quella del Qatar; e quella della nazionale tedesca, rivolta alla Fifa, che ha attuato la ritorsione disciplinare verso chi indossasse la fascia arcobaleno, dicono che il problema cardine di questo evento non è altro che quello evocativo del tema dei diritti fondamentali dell’uomo. La vittoria sportiva passerà in secondo piano…
Raffaele Sgueglia, Vitulazio (CE). alice.it
Le lacrime suscitate fra la loro gente - allo stadio e in patria - dai giocatori dell’Iran che cantano l’Inno - e vincono - hanno davvero inaugurato il Mondiale. Lo dico con l’enfasi di questi tempi, anche se non dirò - alla maniera di Infantino “Io sono iraniano”. Io, caro Raffaele, sono solo un cronista - più che un giornalista, professione inflazionata - e ho vissuto una grande emozione per la scelta degli iraniani e ancor più per la loro magnifica vittoria: l’unica che giustifica il balordo “tempo effettivo” - perfetto Barbano, ieri - destinato a ridicolizzare il vero calcio. Al gol di Roozbeh Cheshmi, al 98’, non solo ho gioito ma ho anche pensato che con il cuore, la passione e la forza agonistica che quei ragazzi hanno mostrato contro il Galles avrebbero evitato la mortificante batosta dell’amara partita d’esordio con l’Inghilterra. Questa volta sì, con il sofferto canto d’amore e i gol hanno davvero sfidato i biechi ajatollah di Teheran. Gioia sfrenata, altro che silenzio. E nella storia del Mondiale resteranno sempre la Vittoria e i gol segnati alla squadra di Gareth Bale, il primo miliardario del calcio.
La grande kermesse del pallone e i grandi eventi sportivi in genere subiscono spesso tentativi di falsificazione da parte di narratori faziosi.
Un falso storico, ad esempio, lo sdegno di Hitler raccontato da molti giornalisti e accreditato da tutti i media, quando ai Giochi di Berlino 1936 Jesse Owens conquistò 4 medaglie d’oro. È un nero, Jesse, e il Fuhrer degli ariani biondi lascia la tribuna e incazzato se ne va. Ma nella sua autobiografia il mito Owens racconta che al termine della premiazione, passando sotto la tribuna riservata ai gerarchi nazisti, il suo sguardo e quello di Hitler si incrociarono per qualche secondo. A rompere l’indugio, lo stesso Führer, il quale, alzatosi dalla sua poltrona, agitando la mano per salutare Jesse, riconosceva nei fatti il valore dell’atleta afroamericano. I conti, Adolph, li ha fatti con la storia.
E parliamo brevemente dei Mondiali, spesso “incriminati” e i Paesi organizzatori trattati come il Qatar (calcisticamente un disastro per i nostri tornei, questo sì). Uruguay 1930: come ha potuto Jules Rimet assegnare a un paesone di quattro gatti, lontanissimo e poco accogliente, il primo mondiale? L’Italia, affettuosamente invitata, dice no, salvo servirsi - per vincere - di giocatori uruguagi come Andreolo, Fedullo, Sansone e di Ghiggia, Puricelli, Schiaffino per perdere, nel ‘58. La decisione la prese il fascistissimo Arpinati…
ITALIA 1934 -
… e l’Uruguay ricambiò al volo rifiutandosi di partecipare al Mondiale fascista che invece arruolò i Paesi più forti, pronti a diffamare il nostro torneo solo dopo averlo perso. I più scandalizzati, i francesi che s’incazzano, condannati a glorificare l’Italia a Parigi 1938.
BRASILE 1950 -
Che bello! Ma alcuni perdenti - a cominciare dagli oroverde maracanizzati dagli uruguagi, e ci metto anche alcuni italiani si lamentano: troppe donne, troppo belle, troppo disponibili. Beati i perdenti.
CILE 1962 -
Due inviati speciali italiani raccontano che il Cile è un Paese inospitale, pieno di ladri e puttane, sporco e pericoloso. L’Italia viene bastonata e cacciata in nome del popolo. In realtà - Pinochet a parte - il Cile è il Paese più europeo del Sudamerica. È inutile che racconti Argentina ‘78, quella dei desaparecidos ricordati con sdegno, ma a giochi fatti… Corro fino in Sudafrica 2010, un Paese presentato come nido di criminali e di mille disagi: Johannesburg e Città del Capo insegnano un buon vivere anche a noi.
Parlate pure male del Mondiale, basta che ne parliate. E che lo giochiate. Ne sappiamo qualcosa…