Corriere dello Sport

Assistenti: ambizione umiltà e pazienza

- Di Andrea Barocci

Così come quella da mediano, la vita da vice allenatore nel basket può riservare una carriera trascorsa nell’ombra; oppure soddisfazi­oni e riconoscim­enti agognati in anni di lavoro in palestra, ascoltando le lamentele del proprio coach, le confession­i dei giocatori, le indicazion­i più o meno velate dei general manager.

Oggi il ruolo di vice è diventato fondamenta­le per le fortune di un club. E in alcuni casi, come quello di Casalone, anche della Nazionale: a nessuno sono sfuggiti i tanti time out azzurri condotti proprio dal tecnico di Casale Monferrato invece che dal suo amico fraterno Pozzecco.

Essere vice significa porsi come elemento di stimolo tecnico e tattico per il capo allenatore; un interlocut­ore di cui fidarsi anche nei momenti più concitati, e non solo come chi accetta passivamen­te le decisioni del numero 1.

Questo vale per i più giovani e per i più navigati, che aggiungono un bagaglio tecnico di esperienza decisivo e vincente se il rapporto con l’head coach poggia su solide basi. Come quello tra Buscaglia e Pancotto a Napoli.

Esempi di vice diventati poi famosi e vincenti ce ne sono a bizzeffe, a partire da Sandro Gamba, diventato leggenda dopo essere stato per tre stagioni assistente del Principe Rubini nell’Olimpia Milano delle gloriose Scarpette Rosse. Pensate anche alla carriera fatta da Simone Pianigiani dopo essere stato a Siena a fianco dello stesso Pancotto, di Dalmonte, Ataman e Recalcati (quest’ultimo oggi, a 77 anni, assistente di Poz). Un bagaglio tecnico enorme che l’ex ct ha condiviso con Luca Banchi, a sua volta diventato poi capo allenatore di successo.

Per essere vice bisogna avere pazienza, una propria visione del basket e la giusta ambizione, dosandola però con una buona razione di umiltà. La stessa umiltà che hanno dimostrato di possedere D’Antoni prima, Messina e Scariolo poi, nell’accettare, loro tecnici affermati in Europa, il ruolo di assistenti nel dorato mondo della NBA: organizzat­issimo sì, ma in passato molto diffidente verso chi proveniva dal basket europeo.

Messina e Scariolo hanno fortemente voluto fare questa esperienza (il primo sfiorando anche una panchina tutta sua), tornando da noi con una visione della pallacanes­tro forse non cambiata, ma sicurament­e arricchita.

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