Corriere dello Sport

Diego 1993-1994 dall’Australia adorante al dramma di Boston

L’Argentina ritrova un’antica rivale che sconfisse a Sydney facendo tornare Maradona dopo la squalifica. Ma in America non fu perdonato

- Di Italo Cucci

Caro Italo, domani sera si giocherà l’ottavo di finale dei Mondiali 2022 Argentina-Australia, quella partita nel 1993 fu lo spareggio interconti­nentale per l’accesso a Usa 94 che vide il ritorno in nazionale albicelest­e di Diego Armando Maradona dopo tre anni, tu te la ricordi quella partita? Alessandro Impellizie­ri

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Iricordi liceali mi perseguita­no e risento Enea che risponde alla curiosità di Didone: «Mi costringi, o regina, a rinnovare un indicibile dolore». Maddài, parliamone. L’Argentina aveva anche perso in casa dalla Colombia (5-0) e per arrivare a Usa 94 chiese aiuto al reprobo, al confinato, allo sputtanato Diego Armando Maradona. Si disse che il Pibe de Oro si era ripulito dalla droga che l’aveva costretto a fuggire dall’Italia nel marzo del 1991 e per la quale si era beccato quindici mesi di squalifica. Arriva l’ora dello spareggio Australia-Argentina e all’improvviso la Federazion­e argentina e la Fifa decidono che Diego sta bene, che Diego è pentito; che Diego è pulito. Gli serve. Diego non è pentito, li odia, ma ama troppo l’Argentina e esibisce l’unica verità certa: è ancora il più bravo del mondo. E si presta alla bisogna. Mentre i maneggioni federali mettono a posto il suo complicato rapporto con il Napoli e il Siviglia che l’aveva ereditato e poi passato al Newell’s Old Boys. È arrivato a pesare 95 chili ma il richiamo della foresta è potente, quando si presenta al Ct argentino Basile - che non lo ama - è in forma più che decente. Lo spareggio è programmat­o a Sydney il 31 ottobre del ‘93 e già l’amatissimo sciagurato colleziona un successo: i media australian­i registrano l’interesse mondiale per l’evento e attribuisc­ono a Diego la nascita del vero calcio nel paese dei canguri; dimentican­do - ingrati - che nel suo (grande) piccolo un certo Bob Vieri (papà di Bobo) aveva già dato spettacolo nel Marconi Stallions Football

Club di Sydney dal

‘77 all’81 dopo le notti magiche di Bologna e c’era tornato nell’82. Ma questa è una nota d’amicizia per Roberto.

La cronaca aggiunge che in uno stadio esaurito Diego - affidato alle cure di tal Paul Wade cominciò a rincuorare l’Albicelest­e affidata alla regia di Redondo. Poi il primo tocco magico, un assist perfetto per Balbo e il gol del vantaggio. Breve felicità, il pareggio di Slater e arrivederc­i il 17 novembre al Monumental di Baires, partitacci­a decisiva risolta da un gol di Tobin che vale l’America. E a Boston il dramma finale. Un gol alla Grecia insieme alla tripletta di Batistuta, una partita esemplare, l’urlo l’immagine stravolta nella telecamera e una intemerata che fece preoccupar­e i… fifoni; ancora una buona esibizione con la Nigeria e alla fine un agguato, quell’uscita di scena indecorosa con l’infermiera che lo prende per mano come un malato e l’accompagna all’antidoping che rivela (o inventa?) l’uso proibito di dimagranti assunti la notte prima del match. Si dispera e piange, Diego. Grida

all’ingiustizi­a poi spiega, non confessa: «In questo Paese dove prendono tutte le droghe hanno incastrato me per una sostanza che non ti dà la forza nemmeno per fare un passo. Mi hanno usato quando serviva un personaggi­o da portare ai Mondiali. Poi hanno riempito gli stadi e io non servivo più. Saremmo arrivati in finale col Brasile e avremmo vinto noi».

Ho vissuto male tutta quella vicenda che dai presunti amici di Diego fu usata in chiave letteraria fra Soriano, Galeano un italiano ben noto. Ma nessuno che lo abbia mai aiutato davvero a uscire dall’inferno che s’era cercato. Scrissi un editoriale su questo giornale parlando di un Pinocchio finito nelle trame del Gatto e la Volpe. Glielo dissero, i suoi cari amici, non gradì. Ci separammo per dodici anni. Poi una sera del 2006, a Monaco, ai Mondiali, c’incontramm­o e finì in un abbraccio e lacrime. Scoprii che da sempre, con Diego, dalla prima intervista italiana ai tanti incontri successivi, ci comportava­mo come ragazzini. Una favola che non è mai finita. Lo ringrazio anche oggi d’essere esistito.

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